TV e SPETTACOLO
Vincenzo Salemme tra Napoli e comicità: “Siamo prigionieri di noi stessi”
“Io stesso mi rendo conto di prestare spesso attenzione a come parlo di Napoli per non ferirla”
Aspettative, stereotipi e luoghi comuni: Vincenzo Salemme racconta cosa vuol dire essere un comico napoletano
Vincenzo Salemme si è lasciato andare ad un’analisi sulla comicità italiana e sulla napoletanità, spiegando come spesso provenire da quella zona sia un’arma a doppio taglio. Nel corso di un’intervista a Fanpage l’attore ha raccontato i cliché che meno sopporta e alcuni vizi tipicamente nostrani nei confronti degli artisti partenopei.
“Mi rendo conto che anche io cerco di non ferirla”
Tra luoghi comuni e stereotipi, secondo Vincenzo Salemme crede che gli stessi napoletani a volte diventino vittime di sé stessi: “Lo penso assolutamente e lo dico esplicitamente. Siamo noi stessi a farci prigionieri, a sentirci in dovere di fare i napoletani, io stesso mi rendo conto di prestare spesso attenzione a come parlo di Napoli per non ferirla. A inizio spettacolo racconto un fatto vero, il furto del telefono subito qualche anno in un’altra città. Un amico mi disse: ‘ma come, ti fai rubare il cellulare, e che napoletano sei?’. Come se essere napoletano significasse saper sventare o evitare furti”.
“Il pubblico si aspetta che tu faccia il napoletano”
Un altro aspetto che Salemme rintraccia e definisce come spiacevole è la specificazione eccessiva della sua città di provenienza: “Perché specificarle? Perché il pubblico si aspetta da te che tu faccia il napoletano. Se un toscano dice che gli piace la carbonara, finisce lì. Lo dice un napoletano e la gente si incazza, ma come la carbonara? Uno spaghetto aglio e olio no? Napoletano non è solo una cittadinanza, ma anche un programma, se lo sei devi essere in un certo modo. Una cosa divertente, però quando genera aspettative può diventare un limite e una frustrazione”.