Attualità
Supermercati e distributori automatici: una questione puramente giuridica
Il gesto di inserire una monetina in un distributore automatico cela molto più di un semplice desiderio d’acquisto
Provocazioni giuridiche tra un carrello e una monetina
Molto spesso capita ai più di incappare continuamente nel codice civile e a qualcuno, diciamo distrattamente, in quello penale. Per facilitare le vendite al minuto la tecnica commerciale ha escogitato ormai da tempo, tra i tanti comprese le ultimissime alienazioni online, due originali sistemi: quello dei supermercati e quello dei distributori automatici.
Distributore automatico o supermercato: un vero contratto
Due strutture che, per le loro caratteristiche peculiari, hanno in parte sovvertito le tradizionali impostazioni giuridiche circa le vendite al minuto. Non sarà male parlarne, anche perché non c’è giorno che un quotidiano locale non abbia un trafiletto su furti e furtarelli (poi mi spiegheranno se addolcire la parola furto equivale anche a subire una pena minore) che avvengono nei supermercati, nei centri commerciali o in negozi tristissimi e silenziosi, regno dei distributori automatici.
Cominciamo dai supermercati, (un tempo supermarkets o spacci all’americana). Il sistema lo conoscete. Si tratta di vastissimi locali, strapieni di ogni ben di Dio. L’ingresso è libero e la merce, già confezionata ed impacchettata, è alla portata di tutti. Non vi sono commessi addetti all’offerta. Basta prendere quello che si vuole, caricarsene le braccia o riempirne un carrello ad hoc, recarsi alla cassa che si trova vicino all’uscita e, naturalmente, pagare. Molto semplice, ma per ciò piuttosto allettante per i malintenzionati. Un controllo all’uscita esiste, oltre tutto vi si procede alla confezione dei pacchi, ma è ovvio che la cortesia verso i clienti impedisca che l’ispezione si esplichi in maniera minuziosa, per esempio attraverso una perquisizione personale.
Nulla di più facile, dunque, per un disonesto del nascondere sotto le vesti uno o due pacchetti e farli passare inosservati alla porta. O la va o la spacca.
I limiti dell’imputabilità del furto
Proprio per evitare evasioni di questo genere, che si sono rivelate abbastanza numerose, le amministrazioni dei supermercati hanno fatto ricorso ad un sistema di controllo supplementare, costituito talvolta da un’ispezione televisiva del movimento all’interno del locale, oppure (più spesso e più semplicemente) dalla sorveglianza discretamente esercitata qua e là, con la coda dell’occhio, da appositi incaricati, che si fingono anch’essi clienti, o infine da allarmi sonori.
Lo scopo del servizio di sorveglianza è quello di adocchiare coloro che, dopo aver preso questo o quell’oggetto, lo inseriscono in una tasca, in una borsa, tra la giacca e la camicia e così via dicendo. Basta questo, di solito, a far scattare il meccanismo di repressione. Il cliente viene cortesemente avvicinato, lo si invita a tirar fuori quello che ha nascosto e (questa volta senza più complimenti) lo si denuncia all’autorità giudiziaria per furto. Ma forse questo modo di procedere non è giusto. Sì, mettiamo pure che un sorvegliante, o un agente di polizia da lui convocato, si avvicini ad un cliente e gli contesti di essersi infilato in tasca un oggetto. Mettiamo che il cliente, persona navigata, non si confonda, non cerchi di negarlo, ed estragga tranquillamente l’oggetto, accettando la contestazione. E con ciò?
È proprio incriminabile di furto o di tentativo di furto, il cliente?
Furto e appropriazione indebita, sfumature da Codice Penale
Badate, badate. Il furto consiste, a tenore dell’articolo 624 del Codice Penale, in un impossessamento della cosa mobile altrui, operato al fine di trarne profitto per sé o per altri, mediante sottrazione della stessa a colui che la detiene. Ora, si può dire, che il cliente sottragga la merce a chi la detiene, cioè alla proprietà del supermercato? Pensateci bene: no. No, per la buona ragione che la merce, nell’interno del locale, è a piena disposizione del cliente. Sino a che il cliente non sia uscito o non abbia tentato di uscire senza pagare dal locale, chi può affermare che egli rubava, o che comunque intendeva rubare? Chi può affermare cioè che il cliente abbia sottratto o tentato di sottrarre la merce, visto che questa era a sua disposizione?
L’appropriazione indebita
Esclusa la configurabilità del furto, viene fatto tuttavia di pensare ad un’altra ipotesi criminosa: quella della così detta appropriazione indebita, che consiste (articolo 646 codice penale) nel fatto di chi si appropria, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, la cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso. Il cliente ha diritto a prendere con sé la merce nel locale, ma non ha diritto a nasconderla tra le vesti perché con ciò, se anche non ruba la merce, tuttavia indebitamente se ne appropria, o almeno tenta di appropriarsene. Appunto. Ma come configurare più precisamente il comportamento del cliente? Si tratta di appropriazione indebita consumata (reclusione da 2 a 5 anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000), o di appropriazione indebita soltanto tentata?
A mio parere, la consumazione del reato non c’è. C’è solo il delitto tentato. Il cliente, infatti, senza propriamente appropriarsi della merce (questo lo si potrà stabilire solo all’uscita), ha posto in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco a commettere il misfatto. Gli si applicherà, a termini dell’articolo 56 codice penale, la pena dell’appropriazione indebita diminuita da un terzo a due terzi. Ma lasciamo andare l’ipotesi ingrata del cliente disonesto e occupiamoci per un momento del cliente onesto.
Un momento sospeso tra l’intento, l’azione e il cambiamento
Posto che egli abbia riempito il carrello di un certo numero di oggetti e pervenga alla cassa, sarà egli tenuto al pagamento, o potrà restituire qualcuno degli oggetti prescelti, rinunciando a comprarli? La risposta dipende dalla soluzione di un altro quesito. E cioè: la vendita della merce deve considerarsi effettuata nel momento in cui il cliente ha operato la sua scelta e caricato il carrello, o può considerarsi rimandata al momento del pagamento alla cassa?
A rigor di termini, dovrebbe valere la prima soluzione, perché la merce è offerta in vendita (con tanto di cartellino del prezzo) sui banchi e il cliente mostra di accettare l’offerta nel momento in cui toglie dal banco la merce per avviarsi verso la cassa, dove sarà eseguita la prestazione del pagamento. Ma, a meglio riflettere, sembra più equo adottare la seconda soluzione perché, in fondo, il cassiere altro non è che un rappresentante del proprietario del supermercato, che attende all’uscita proprio per concludere con ciascun cliente il contratto di vendita relativo agli oggetti da lui prescelti. Quindi, niente paura: c’è tutto il tempo per cambiare idea, tornare al banco e riporre il salame scelto frettolosamente in precedenza o sostituirlo con un affettato di crudo di Parma.
Distributori automatici: l’impossibilità di cambiare idea
Cambiare idea non è invece lecito, anzi non è materialmente possibile, quando la vendita sia operata a mezzo di distributori automatici. Anche i distributori automatici di merce (salatini, cioccolato, sigarette, tramezzini), già tanto diffusi all’estero, vanno diffondendosi a macchia d’olio in Italia. Cominciano a vedersi dappertutto negozietti, un tempo gaie botteghe, con queste macchine, alle quali i passanti sono invitati ad avvicinarsi per insinuarvi una moneta e riceverne in cambio un certo oggetto. Ma proprio perché la diffusione dei distributori automatici è in aumento, progredisce la probabilità che da essi scaturiscano non soltanto sigarette e cioccolato, ma anche sottili questioni giudiziarie.
La monetina nella fessura: oltre il gesto, è un contratto
Il punto da considerare è questo: che cosa fa, giuridicamente parlando, colui che inserisce la moneta nel distributore? La risposta è: un contratto. Sì, è evidente, un contratto. Più precisamente un contratto di compravendita, che interviene tra il passante (in veste di compratore) e (no, la macchinetta, no! Non ancora…) l’organizzatore del servizio di distribuzione automatica (in veste di venditore). L’ordigno di distribuzione è, insomma, il mezzo di cui il venditore si serve per ricevere il danaro dal cliente e per consegnare allo stesso la merce desiderata: esso funge cioè da cassiere e da commesso di banco. Appurato ciò, facciamo un passo avanti e chiediamoci: nel contratto di vendita per mezzo di distributori automatici, chi è il proponente della contrattazione, e chi è l’accettante?
Il quesito è importante perché ogni contratto, derivando dalla combinazione di due volontà diverse che si incontrano, si perfeziona allorquando una delle due parti abbia fatto la proposta, l’altra parte l’abbia accettata e la prima abbia avuto cognizione dell’accettazione della seconda. Nel caso nostro, se si ritiene che il proponente del contratto sia il passante, in quanto inserisce la moneta nell’apposita fessura, può facilmente concludersi che il proprietario del distributore è accettante solo se ed in quanto la macchina distributrice non sia esaurita e non restituisca perciò la moneta al passante. Ma se invece, più esattamente, si ritiene che, mediante il distributore automatico, si effettui una offerta al pubblico, vale a dire una proposta di contratto al passante qualunque, allora l’accettante è il passante, nel momento in cui inserisce materialmente la moneta.
Un distributore di questioni giudiziarie
Già, ma che succederà, in questo secondo caso, se la macchina è esaurita? Il passante avrà diritto o non avrà diritto di lagnarsi perché la sua accettazione (che pure è stata produttiva del contratto) non è stata produttiva di esecuzione del contratto? Avrà diritto (si fa per dire) di citare in giudizio il proprietario del distributore, che non ha provveduto a rifornire la macchina, né ha curato di apporvi il cartello di fuori servizio? Il buon senso suggerisce, ovviamente, la risposta negativa. Ma credete pure che non è cosa delle più facili motivare questa risposta in diritto. E non è finita qui.
Se il passante inserisce la moneta nella fessura che promette (mettiamo) “tavoletta di cioccolato fondente svizzero”, e dalla macchina esce invece una marca di qualità inferiore? Potrà agire, per la risoluzione del contratto, o per i danni, contro il proprietario del distributore? Sì, certamente, potrà farlo. Ma gli sarà assai difficile provare che la macchina ha espulso il cioccolato di minor prezzo. A meno che non sia provvisto di testimonianze attendibili (ma molto attendibili), tali da convincere il giudice che egli non ha voluto pescare nel torbido. Il che spiega, anche se non giustifica, perché vi siano ancora tante persone, al giorno d’oggi, che ai supermercati ed ai distributori automatici preferiscono i negozi ed i negozietti di vecchio stile. C’è più calore umano, oltre tutto.
Ed anche questo conta per il cliente della piccola bottega, il quale probabilmente eviterà di impelagarsi nelle mie provocazioni giuridiche.