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Simona Izzo riceve il Premio Troisi, l’intervista: “Massimo corteggiava il mondo”

L’intervista a Simona Izzo, vincitrice del Premio Massimo Troisi 2022

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Il premio che porta il nome dell’attore napoletano va a Simona Izzo: l’intervista dopo la premiazione al Marefestival 2022

Simona Izzo ha ricevuto il Premio Massimo Troisi al Marefestival 2022, la manifestazione cinematografica che omaggia l’attore napoletano e che si svolge a Salina, uno dei luoghi dove è stato girato il suo ultimo film, Il Postino. L’attrice, regista e autrice romana ci ha raccontato il suo legame con Massimo Troisi e un incontro con lui avvenuto a Cinecittà, che ricorda con grandissimo affetto ancora oggi.

Simona, hai ricevuto un premio intitolato non solo a un grandissimo attore, ma soprattutto a un grande uomo, che cosa ha significato per te Massimo Troisi?

Massimo l’ho conosciuto quando ho scritto insieme a Lina Wertmuller un film per lui, 40 anni fa, che poi non ha girato perché ha scelto di fare Ricomincio da Tre, che gli dava modo di fare il regista e l’autore. Lina lo aveva identificato come genio della recitazione. Lui si era già espresso con La Smorfia, ma non aveva ancora fatto cinema, quindi Lina era stata preveggente, come sempre.

Io e Massimo abbiamo chiacchierato a lungo parlando di quel film e ho capito che in lui c’era la stoffa di un autore, non solo di attore. Aveva “dentro” uno storytelling pazzesco. Il nostro rapporto quindi è stato professionale, però bello.

Come mai quel film non ha mai visto la luce?

Dentro di me capivo che non l’avremmo mai fatto, perché lui sentiva “le sirene” di Mauro Berardi, straordinario produttore romano, che aveva capito che Massimo sarebbe diventato un’eccellenza e questo è successo.

Cosa rendeva speciale Massimo Troisi?

Nonostante fossi sua coetanea, io sono cresciuta con il suo cinema. Le sue sono commedie “felicemente disperate”, come dico io, c’è dentro una drammaturgia del dolore che poi diventa divertente e spassosa per chi la vede, ma dentro ha un profondo valore psicoanalitico.

Cecchi Gori, produttore de Il postino, mi ha raccontato il sacrificio d’amore per il cinema che ha compiuto Massimo. Perché doveva fare un intervento al cuore, avrebbe potuto abbandonare il film, ma lui l’ha voluto girare comunque. Gli artisti arrivano fino al martirio.

La sua arte derivava più dallo studio o dall’istinto?

Era puro istinto, un’eruzione, come fosse un vulcano. Era talmente pieno di cose… Però non le mostrava in modo inquieto, non riuscivi a capire il suo rovello.

Raffaelle La Capria ha scritto un libro che si intitola Lo stile dell’anatra in cui dice che gli artisti più grandi sono quelli che, come le anatre, scivolano sull’acqua. Tu non vedi il loro lavoro, le zampette che frullano sott’acqua, ecco potrei dire questo di lui.

Quando pensi a Massimo qual è la primissima cosa che ti viene in mente?

Un nostro incontro a Cinecittà. Lui non corteggiava le donne, corteggiava il mondo. Se tu stavi in mezzo al mondo, il suo sguardo si fermava su di te. Io non penso di avergli mai visto abbassare gli occhi. Sai, la gente dopo un pò distoglie lo sguardo, lui invece li aveva sempre spalancati, quasi come se avesse la percezione che avrebbe dovuto guardare tutto in fretta, immagazzinare tutto. Era come se sapesse che avrebbe dovuto vivere in modo accelerato.

Ti ha corteggiato?

No, non mi ha corteggiato. Però il suo sguardo su di me si è fermato, solo quello. Lavorando per il suo film avevamo chiacchierato molto, ma il suo sguardo non si era mai fermato su di me. Quella volta a Cinecittà invece sì, e capii che forse, in un’altra vita, avrebbe potuto esserci qualcosa oltre al lavoro, però non è mai successo purtroppo niente.

Nei tuoi film, ma anche nei tuoi libri, racconti spesso l’amore. Cosa significa per te questa parola?

E chi lo sa? Wittgenstein diceva che tutto ciò che non può essere spiegato va raccontato. Nessuno può capire l’amore, io lo racconto. Lo faccio per capire, perché ho questo dolor detector per tutti quelli che soffrono e l’amore è il sentimento che ti fa soffrire di più, perché non lo controlli. Mi chiedo ancora oggi perché qualcuno mi abbia amato e qualcuno no. È un pensiero narcisistico in partenza.

Qual è il mezzo più adatto per raccontarlo?

Antonio Tabucchi diceva che scrivere è un modo per dare un certo senso alla vita. Io scrivo e metto in scena, perché non sono principalmente una scrittrice, non mi sento così forte a farlo. So però che sono molto forte quando metto in scena ciò che ho scritto.

A me non interessa il mezzo tecnico, non ho studiato cinema. Io faccio una regia teatrale, sono proprio disinteressata dal mezzo e poi c’è sempre Ricky (Tognazzi, marito di Simona, ndr) che mi aiuta. Quando mi dicono “che obiettivo vuoi?” rispondo “un obiettivo giusto” (ride, ndr). Insomma ce l’ho dentro.

Cosa invidi a Ricky a livello professionale e caratteriale?

Ha un’intelligenza visivo-spaziale che io non ho. Per me le scene più difficili sono quelle in spazi molto grandi. Lui sa istintivamente qual è il posto giusto in cui mettere la macchina. Ha una tecnica che io non ho ma che sfrutto, perché ovviamente gli dico “mi devi aiutà, come io ti ho scritto il film tu mi aiuti a farlo” (ride, ndr). E poi ha un enorme senso pratico anche nella disgrazia, nella tragedia. Io ad esempio mi paralizzo o divento frenetica, invece lui organizza e pianifica serenamente anche nel dramma.

Litigate molto sul set?

Litighiamo sempre. Litighiamo come due nemici che poi vanno a letto insieme, questo è l’amore. La guerra dei sessi è l’unica in cui i nemici combattono e poi finiscono nello stesso letto.

Cosa ti piace particolarmente nel cinema di oggi?

Sono follemente innamorata di Sorrentino per la sua capacità di mettere in scena un mondo che è solo suo e che a volte non credo sia troppo ragionato, ma derivato da un istinto narrativo che trova strada-facendo.

Sorrentino scrive, mica non scrive, però credo che sul set trovi una sua libertà di trasgredire la narrazione che pensa in origine. Il suo cinema mi sembra teatro. Dicevamo dell’anatra, io non vedo la sua fatica, vedo solo il risultato che ottiene. E mi piace molto.

Cosa invece non sopporti?

La spocchia. Alcuni giovani autori si beano del nulla, ma fanno film noiosi. Io voglio essere intrattenuta, lo pretendo perché la vita è già noiosa di suo. Il cinema è la vita senza i tempi morti, alcuni mettono in scena i tempi morti senza la vita.

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