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Silvio Berlusconi era la nostra Regina Elisabetta, anche lui mortale
Nessuno smascheramento, nessun inganno: era un re nudo che amava la nudità, la sua soprattutto
Silvio Berlusconi, la nostra mortale Regina Elisabetta
A quasi 30 anni e con la morte di Silvio Berlusconi in prima pagina, l’unica riflessione che mi sovviene non è altro che una constatazione, il mio CID morale con i “più” della mia generazione: Silvio Berlusconi era la nostra Regina Elisabetta, e qualcosa di meno aleatorio in più.
Mentre si può umanamente e storicamente scendere a patti e accettare dinastie, discendenze e quel sangue blu che tocca in sorte senza merito alcuno, Berlusconi sdoganando il mito del self-made man – l’immagine del ragazzetto scanzonato, umile e dal guizzo rotterdamiano, con un’idea, un terreno edificabile e un mutuo – si è costruito qualcosa di molto più potente e al contempo meno obsoleto di un trono e un regno: una città.
Una sua squadra di calcio. Con grande eco.
Una casa editrice sua. Disarmando Eco.
E poi una tv sua. Frustrando Eco.
Un partito suo. Eco, nomico.
Quello che la Regina ha ereditato dall’alto, Berlusconi se l’è costruito dal basso regnando però forte di un bene più prezioso della corona, dei gioielli reali, delle colonie, dei sudditi: il consenso dei liberi cittadini.
Il re è nudo, e quanto ha goduto
Laddove il re senza consenso si insedia con la monarchia e il suo sangue blu, Berlusconi negli ancor più simbolici anni del sangue infetto in Italia, ha costruito mattone dopo mattone il suo democratico impero. Quello che per antonomasia spetta simbolicamente a Buckingham Palace, lui l’ha metafisicamente impresso sulle pareti di Arcore “con una meticolosità ossessiva per i dettagli”, aggiunge Cesara Bonamici. Era veramente un re Silvio Berlusconi e, per eccezionale singolarità, era veramente un re nudo, del tutto privo di quel didascalico rimando ad Andersen.
Nessuno smascheramento, nessun inganno: amava la nudità, la sua soprattutto.
E così ci siamo trovati, nudi un po’ tutti nei celati meandri dei nostri sentimenti più profondi e contrastanti, di fronte alla sua morte. In lotta tra l’uomo e il politico, l’imprenditore e il blagueur, fascino e ribrezzo. E questo era re Silvio, come testimoniano i titoli di giornale: una lunga serie di sinonimi e tutti i loro contrari.
L’Italia è il Paese che amo
Sono nata 17 giorni prima del discorso di discesa in campo, d’ufficio della generazione sdraiata di Michele Serra e figlia dell’indifferenza di Moravia, per me Silvio Berlusconi era più di un politico, più di un imprenditore, più di un visionario: era un re. Ontologicamente emblematico, anello di congiunzione tra la mia generazione e quella dei miei genitori, un’entità superiore e onnipresente. Un uomo che vale più di 78mila e 588 parole, che sono solamente quelle che si contano su Wikipedia alla voce Procedimenti giudiziari a carico di Berlusconi. Faccio parte di quella fetta di popolazione per cui “L’Italia è il Paese che amo” è solamente l’inizio di un discorso mai vissuto in diretta. Mi manca l’ascesa, ma ho vissuto le conseguenze. Ho avuto però la fortuna di studiare proprio quel discorso come materia d’esame all’Università. Lingua Italiana, Il discorso politico e la lingua della menzogna. Fallacia ad personam. Fallacia post hoc, ergo propter hoc. Ripetizioni anaforiche. Non sequitur. Fallacia ad populum. Argomentum ad baculum.
Silvio Berlusconi, che tutto ha potuto fuorché non morire
A volerlo non mancherebbero né i presupposti né gli argomenti per ambire ad un posizionamento più strutturato, magari schierandomi a favor di non era una brava persona ma un nemico, cit. Ma sono solo una sdraiata in questo socialmondo di giustizieri del feed con laurea ad honor-meme. Nessuna prosopopea dunque, compito già assolto dai Travaglio e dalle Zanicchi. Chi può ne scriva insomma, chi ne sa commenti, chi è solo uno sdraiato come me invece avrà sentito oggi sulla pelle il brivido, il soffio leggero e gelato che è proprio solo del pensiero della morte. Come ci aveva già insegnato la Regina Elisabetta, anche Silvio Berlusconi che tutto ha potuto, correttamente e scorrettamente, non era immortale. E nel suo non essere immortale, era comunque meno mortale di Elisabetta.
Memento mori.
Tutto è riuscito a Silvio. Case, libri, auto, viaggi, fogli di giornale. Lui che tutto poteva, anche fare cucù alla Merkel, anche promettere un pullman di tro*e, lui che ha portato in serie A il Monza, lui che in barba ad Ivan Karamazov ha potuto vivere senza domandarsi quanto e fino a che punto fosse tutto lecito senza mettere in discussione l’esistenza di Dio, non è riuscito comunque a sconfiggere la morte. Nonostante tutto, non è riuscito a non invecchiare (pur avendoci provato), e non è riuscito ora a non morire. Era un re nudo, banalmente mortale come tutti. Ed io per certi versi, non sono così tanto convinta che sia successo. Lo sono ancor meno aggiornando il feed di Tik Tok Tak, in attesa del video “Travaglio, hai festeggiato troppo presto“.