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LIFESTYLE

Signore, biglietto prego, non faccia il portoghese!

Può il passeggero rifiutarsi di esibire il biglietto?

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È regola delle regole e legge delle leggi che ciascuno rispetti quelle del paese in cui vive, e non avrà mai problemi. Probabilmente Montaigne non aveva mai viaggiato su un autobus con tanto di regolare biglietto…

Il re del Portogallo Giovanni V di Braganza, nel XVIII secolo godeva di grande prosperità e instaurò un rapporto privilegiato con lo Stato Pontificio. Il sovrano, per celebrare la sua grande familiarità con la città di Roma, periodicamente finanziava grandi eventi che in essa si svolgevano, come fu per l’inaugurazione del Teatro Argentina nel 1732. Alla fine dello spettacolo, era previsto un abbondantissimo banchetto, con pietanze e dolci di ogni tipo. L’ambasciatore lusitano decise di riservare la rappresentazione ai numerosi portoghesi residenti a Roma; ma anziché far inviare loro degli inviti, si limitò a dare disposizioni al personale che controllava l’ingresso del teatro, specificando che i sorveglianti avrebbero dovuto fare entrare gratuitamente tutti coloro che si dichiaravano di nazionalità portoghese. L’iniziativa ebbe un grande successo… La notizia si sparse ben presto per tutta l’Urbe, così, in occasione degli spettacoli successivi, centinaia e centinaia di romani si presentarono all’ingresso del teatro, dichiarando di essere portoghesi e addirittura cercando di parlare la lingua di questo popolo, con strafalcioni che è facile immaginare. Molti riuscivano così a partecipare ai lussuosi banchetti facendo i “portoghesi”…

Io portoghese non lo sono mai stato, eppure una volta sono stato scambiato a torto per uno che si intendeva di fado saudade.

“Biglietto, prego”

Può il passeggero di un’autovettura pubblica rifiutarsi di esibire il biglietto di viaggio alla richiesta del controllore? Fino a quale momento coloro che usufruiscono dei mezzi di pubblico trasporto (tram, autobus, metro) sono tenuti a far esaminare il biglietto di viaggio ai controllori dell’azienda?

Premesso che prendo in media un autobus ogni cinque anni. La sofferenza del mal d’auto è più forte dell’eventuale fatica di fare qualche chilometro a piedi, figurarsi poi in quei “carri bestiame” – ora ahimè leggermente mitigati dalle disposizioni covid – , l’un contro gli altri, uniti carnalmente, maleodoranti, con una temperatura dell’ambiente che supera quella dell’equatore.

Beh… alla scadenza dei cinque anni, mi è capitato di salire su uno di quei carrozzoni, dopo aver acquistato il biglietto in tabaccheria e averlo faticosamente obliterato nella macchinetta automatica all’interno del bus. Non ci è voluto poco per conquistare l’obliteratrice, evitando di toccare gli appoggi dei sedili, cercando di trattenere il respiro sino all’apnea, mantenendo il meno possibile appannati i vetri degli occhiali – complice la “santa” mascherina -, e ogni tanto controllando se era rimasto al suo posto il mio portafoglio.

Tenevo ben stretto in mano il prezioso cartoncino rettangolare, ma con l’idea di appallottolarlo e scaraventarlo lontano, in un primo cassonetto utile, appena sceso da quella tortura. Quel viaggio fatto in tal guisa non valeva neanche il prezzo, seppur esiguo, del biglietto.

Non vedevo l’ora di uscire all’aria fresca e ricominciare a respirare. Giunto a destinazione, aperte le porte, tornai finalmente a riveder le stelle, anzi una sola, meglio di niente. Sì, faceva caldissimo, era mezzogiorno e c’era una stella, era il sole, la stella madre!

Poggiati i piedi sulla terraferma, ho lanciato come promesso lontano a mo’ di liberazione il biglietto, centrando da ottimo cestista il cassonetto per i rifiuti della carta. 

Un istante dopo, un controllore in incognito, che era lì alla fermata, mi ha chiesto di mostrargli il biglietto. 

Naturalmente non ho potuto esibirglielo. Messosi il berretto d’ordinanza con tanto di fregio dorato, con aria imperativa mi ha chiesto il documento d’identità, per verbalizzare – a suo dire – l’illecito amministrativo da me commesso e farmi la multa. La sua albagia forse gli derivava inconsciamente dall’etimologia della parola biglietto, che in antico aveva il senso di piccola sbarra di legno, che il signore, altezzoso e presuntuoso, riscuotitore di un pedaggio, era tenuto ad attaccare a un palo in segno del suo diritto.

“Obiezione vostro onore”

La mia obiezione al “caporale di giornata” è stata immediata.

«Egregio signore – rivolgendomi al solerte impiegato dell’azienda di trasporti – è vero che i passeggeri di un mezzo pubblico di trasporto sono tenuti a esibire il titolo di credito, cioè il biglietto, ad ogni richiesta del personale di controllo, ma questa regola vale, come è ovvio, soltanto durante la prestazione del servizio. Cessato il trasporto, cessa l’obbligo di esibire il biglietto a chicchessia; anzi, solitamente un tempo sul biglietto vi era addirittura prescritto di strapparlo al termine della corsa. Orbene, quando il bus si ferma e apre le porte per far scendere i passeggeri, e quando questi defluiscono dalle porte e mettono anche un solo piede a terra (per il bene del mio stomaco!), è chiaro che il trasporto per essi è terminato. Essendo cessato il trasporto, è cessato l’obbligo di conservare il biglietto e di esibirlo a richiesta del personale. Pertanto è illegittima la multa che vuole comminargli, senza alcun fondamento giuridico. Del resto, caro signore, per averne la riprova, basti pensare a questo. Se, giunto ad una fermata, un passeggero scendesse e, dopo aver effettuato la discesa, volesse risalire, egli giuridicamente non lo potrebbe fare, perché con l’atto della discesa avrebbe manifestato la sua volontà di porre termine al trasporto e lo avrebbe, difatti, fatto cessare. Da quel momento il viaggiatore avrebbe bisogno, insomma, per risalire sul bus, di un nuovo biglietto. Ma ciò significa che, da quel momento, il biglietto vecchio non avrebbe più valore, non sarebbe più un biglietto di viaggio, ma soltanto un pezzo di carta qualsiasi. Dunque, i controllori possono pretendere la esibizione dei biglietti di viaggio, ma non di ogni pezzo di carta, scritta o non scritta, che le persone abbiano in tasca.»

Il controllore, un po’ imbambolato, credendo di aver acciuffato un “portoghese”, era soltanto incappato in uno degli innumerevoli cavilli giuridici!

Niente multa, e nonostante tutto, sono riuscito ad arrivare in tempo ad un pranzo, che non aveva nulla di somigliante con i lussuosi banchetti romani del ‘700, tanto è che ho pagato regolarmente il conto, non parlando la splendida lingua di Pessoa.

A proposito, che ho detto all’inizio, un autobus ogni cinque anni? Beh… la prossima scadenza la salto, se ne parla fra dieci. Buona passeggiata!

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