Attualità
Scene omeriche dall’Ucraina
La guerra purtroppo, in ogni epoca combattuta, fotografa sempre le stesse atrocità, morali e materiali.
La guerra purtroppo, in ogni epoca combattuta, fotografa sempre le stesse atrocità, morali e materiali. Dall’Ucraina giorni fa ci è giunta un’immagine: un padre-soldato saluta il proprio figlio prima di andare al fronte, lo prende in braccio e il bambino, rivolgendosi alla madre, scoppia in lacrime, impaurito dalla marzialità mai vista prima, da quell’elmetto militare così diverso da quello dei giochi fino a quel momento condivisi con il suo babbo, latore in cuor suo di una strana e nuova sensazione, quella dell’addio. Il soldato accortosi del colpo emotivo inferto involontariamente al bambino, si toglie il nefasto copricapo e ritornando per un attimo soltanto padre, lo stringe a sé, con la straziante consapevolezza di lasciare forse per sempre la moglie e il frutto del loro amore.
Descrizioni omeriche per ucraine immagini del contemporaneo
Omero, 2mila e 700 anni fa, descriveva la stessa scena, ponendo come protagonisti Ettore, figlio primogenito di Priamo, re di Troia, la moglie Andromaca e il piccolo figliolo Astianatte. Sebbene l’Iliade sia un poema greco, che vede la guerra di Troia dalla parte dei vincitori, tuttavia non mancano descrizioni dei vinti altrettanto accuratamente caratterizzate ed emotivamente intense di quelle dedicate agli eroi greci. Forse anche questo è un segno di quel desiderio di pace che come è stato detto più volte, sembra pervadere l’opera. Un sogno forse riferito al presente, al momento in cui il poema venne scritto, molti secoli più tardi rispetto agli eventi narrati. E una voglia ahimè attuale che oggi noi tutti abbiamo forte nei nostri cuori. Omero canta la gloria della battaglia, il coraggio degli eroi, ma ha in animo anche lo spreco di tante vite, lo strazio dei genitori, delle spose, dei figli e non sembra affatto, in questo, fare alcuna differenza tra i Greci e i Troiani.
Ettore, guerriero e padre
In lui vi è la negazione del concetto di nemico che perde interamente il suo senso in una comune umanità nella quale le doti e i vizi individuali, la lealtà, la solidarietà verso la propria gente, il coraggio e la generosità, o al contrario, la vigliaccheria, l’arroganza, l’avidità dei singoli appartengono agli uni come agli altri. Ettore, il cui nome vuol dire sostegno, colui che resiste è la guida dell’esercito troiano, pare quasi che nelle sue mani sia il destino della città, tanto che secondo Omero il figlio, chiamato Scamandrio, fu soprannominato, in memoria delle imprese del padre, Astianatte, difensore della città. L’eroe più intimo, modesto, privo di quella hybris, l’orgogliosa tracotanza tipica degli altri protagonisti, Ettore è contemporaneamente guerriero e padre: non combatte per la gloria personale, per essere ricordato nei secoli come il più valoroso dei guerrieri, combatte per difendere la sua gente dall’assedio, è un eroe che vive costantemente in relazione agli altri, agli affetti. Eppure non aveva voluto questa guerra, tanto che più volte la chiama l’odiosa battaglia.
Il mito dell’eroe moderno, un dolce carnefice
Egli non è affatto incurante della propria vita, anche perché è ben consapevole di quanto essa sia importante anche per altre persone: il coraggio gli deriva dalla consapevolezza che non si può sfuggire al proprio destino, e che proprio l’affetto, la fiducia che gli altri hanno in lui, gli impongono di non venire meno al suo ruolo di custode dell’altrui sicurezza. Così, se pure egli è violento in battaglia – più volte Omero lo chiama massacratore, e alla sua morte Andromaca ricorderà, come se parlasse ad Astianatte, che non era dolce, no, il padre tuo nella carneficina paurosa -, tuttavia nella memoria collettiva la forza e l’ardimento, rimangono inscindibilmente legate alla dolcezza del carattere, alla generosità, ad una certa fiducia nella vita che gli consente di affrontare le situazioni più difficili. Ed è questo che ne fa un eroe moderno, amato dalla letteratura d’ogni tempo.
L’ultimo saluto tra Ettore e Andromaca
Il sesto libro del poema è dedicato all’ultimo colloquio tra Ettore e Andromaca, così dolce, commovente e intriso di umanità da costituire una rappresentazione universale dei sentimenti di un soldato che rivede la propria famiglia e non sa se sarà l’ultima volta, ed in quella scena vi è esattamente quella di qualche giorno fa, immortalata in Ucraina. Ettore è consapevole che affrontando Achille morirà, eppure non si ritira, nonostante la preghiera della moglie che tenta di dissuaderlo in ogni modo, accostandolo a sé, piangendo, e prendendogli la mano.
Ma di gran pianto Andromaca bagnata
Accostossi al marito, e per la mano
Strignendolo, e per nome in dolce suono
Chiamandolo, proruppe: Oh troppo ardito!
Il tuo valor ti perderà: nessuna
Pietà del figlio nè di me tu senti,
Crudel, di me che vedova infelice
Rimarrommi tra poco, perchè tutti
Di conserto gli Achei contro te solo
Si scaglieranno a trucidarti intesi.
(vv. 523-532, trad. Vincenzo Monti)
Il conflitto di Ettore è tra essere padre e marito vicino ai suoi affetti oppure scendere nella battaglia, morire e rischiare di consegnare per sempre Troia agli Achei. Ma egli non ha alcun dubbio, i suoi principi e la sua etica lo spingono verso quello che deve essere, verso i suoi valori di combattente e di difensore della patria. E infatti risponde ad Andromaca (vv. 574-581):
Dolce consorte, le rispose Ettore,
Ciò tutto che dicesti a me pur anco
Ange il pensier; ma de’ Troiani io temo
Fortemente lo spregio, e dell’altere
Troiane donne, se guerrier codardo
Mi tenessi in disparte, e della pugna
Evitassi i cimenti. Ah nol consente,
No, questo cor.
Dette queste parole, Ettore tende le braccia al piccolo figlio che si spaventa perché il padre ha l’armatura e l’elmo sovrastato da un’imponente chioma. A questo punto madre e padre sorridono, una breve parentesi, un soffio di serenità familiare, l’ultimo. Ettore si sfila l’elmo, lo pone a terra e può abbracciare il figlio tranquillizzatosi; augurandogli un futuro migliore, lo alza in alto con le braccia e con il pensiero di chi conosce il proprio destino. Questo gesto sarà per tutti i tempi a venire il marchio del padre. Ettore prega per il bambino, sfidando le leggi dell’epica in suo favore (vv. 614-640):
Così detto, distese al caro figlio
L’aperte braccia. Acuto mise un grido
Il bambinello, e declinato il volto,
Tutto il nascose alla nudrice in seno,
Dalle fiere atterrito armi paterne,
E dal cimiero che di chiome equine
Alto su l’elmo orribilmente ondeggia.
Sorrise il genitor, sorrise anch’ella
La veneranda madre; e dalla fronte
L’intenerito eroe tosto si tolse
L’elmo, e raggiante sul terren lo pose.
Indi baciato con immenso affetto,
E dolcemente tra le mani alquanto
Palleggiato l’infante, alzollo al cielo,
E supplice sclamò: Giove pietoso
E voi tutti, o Celesti, ah concedete
Che di me degno un dì questo mio figlio
Sia splendor della patria, e de’ Troiani
Forte e possente regnator. Deh fate
Che il veggendo tornar dalla battaglia
Dell’armi onusto de’ nemici uccisi,
Dica talun: Non fu sì forte il padre:
E il cor materno nell’udirlo esulti.
Così dicendo, in braccio alla diletta
Sposa egli cesse il pargoletto; ed ella
Con un misto di pianti almo sorriso
Lo si raccolse all’odoroso seno.
E forse Ettore, conoscendo bene la guerra, in cuor suo sperava per il piccolo Astianatte un mondo di pace, nel quale tutti sono più forti perché a vincere è la vita, mentre con la guerra tutti sono più deboli, vinti e vincitori, perché è la morte l’unica ad avere in pugno la vittoria.