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Re Carlo III, l’incoronazione è vicina: quale soprannome gli darà la storia?

Storie di soprannomi, di epiteti a volte giusti e a volte profondamente sbagliati: quale sarà un giorno il soprannome di Re Carlo III?

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Che soprannome avrà un giorno Re Carlo III?

Chissà quale aggettivo, nomignolo, appellativo, storicamente giusto o sbagliato, i sudditi e non solo, riserveranno a Re Carlo III, succeduto l’8 settembre 2022 sul trono alla morte di sua madre la regina Elisabetta II, in attesa della solenne incoronazione nell’abbazia di Westminster il 6 maggio 2023.

Da Carlo II Stuart e Re Carlo III: storie di epiteti e soprannomi, a volte degni e a volte no

Carlo II Stuart re d’Inghilterra alla metà del Seicento fu noto con il nome di Merry Monarch (monarca allegro) a sottolineare il clima di edonismo della sua corte e il sollievo generale procurato dal ritorno a una situazione di normalità dopo l’esperienza repubblicana. L’appellativo fu molto veritiero tanto è che nonostante la moglie Caterina di Braganza fosse sterile, il sovrano ebbe 12 figli illegittimi con varie amanti. Invece Carlo I, suo padre e predecessore, non se la passò molto allegramente. Tra guerre fratricide, religiose e parlamentari, è ricordato come il traditore o il santo… a seconda dei punti di vista.

Oliver Cromwell, disgustato dalla sua doppiezza politica, rinunciò a ogni compromesso. Battuti gli Scozzesi a Preston il 17 agosto del 1648, fece dichiarare il sovrano reo di alto tradimento. Fu il primo monarca della storia ad essere condannato a morte per decapitazione da un tribunale. Rivalutata la sua figura soprattutto dal figlio, la chiesa anglicana lo proclamò santo. (All’epoca capitava, oggi molto meno).

Carlo l’Illustre, ma che illustre non fu mai

Sui Re, sui Papi, sulle persone comunque alla ribalta della Storia, sulle nazioni, sulle città, si formano molte volte leggende che poi è molto difficile sfatare anche agli storici di mestiere. Il più delle volte queste leggende tendono a sminuire le personalità e la buona fama delle nazioni. Si dà però pure il caso che qualche volta ad alcuni principi vengano attribuite qualità che essi non ebbero mai per ignoranza o per la malafede dei contemporanei e dei posteri.

Un esempio di quest’ultimo caso? Ricorderò allora che il duca di Calabria, Carlo, figlio del re di Napoli Roberto d’Angiò, è passato alla storia come Carlo l’Illustre, mentre illustre quel povero giovane non fu mai. (Anche perché morì in ancora giovanissima età). L’equivoco nacque per l’errore di qualche antico paleografo. Carlo infatti, quando resse il regno nella qualità di vicario di suo padre Roberto, assente perché impegnato nelle guerre contro i ghibellini, usava iniziare con questa formula latina i suoi atti: “Carolus, illustris regis Roberti filius” ovvero “Carlo, figlio dell’illustre re Roberto“. Qualche sprovveduto lettore di antichi documenti si fermò alle prime due parole “Carolus illustris” ed attribuì l’aggettivo laudativo al figlio, che non lo meritava, invece che al padre, il quale ne era degno.

Umberto I: il re “buono”, ma sporco di sangue

Per venire a tempi più recenti, chissà quale agiografo adulatore creò per il re d’Italia, Umberto I, l’appellativo di buono, mentre Umberto buono non lo fu affatto. Quando si trattò infatti di reprimere i moti del 1898, che minacciavano di far scoppiare la rivoluzione in Italia, impartì ordini severissimi ai generali incaricati di far rispettare le leggi. Tra questi ultimi il Bava Beccaris li eseguì con tanta fermezza che tirò persino con i cannoni sugli operai milanesi in rivolta. Vi furono centinaia di morti, che molti storici imputano proprio a quel re al quale altri affibbiarono invece la qualifica di buono.

La pessima fama di papa Alessandro VI Borgia: oggi sarebbe diffamazione

Lo stesso va detto per le leggende di crudeltà, di lussuria e via seguitando fiorite su questo o su quel principe, su questo o quel papa. Se chiediamo, per esempio, al comune lettore un giudizio su papa Alessandro VI Borgia, ne sentiremo di cotte e di crude. Arrivarono persino ad accusarlo di incesto! Ma se leggiamo il magistrale studio di Oreste Ferrara Il papa Borgia, sapremo che tante turpi calunnie fiorite intorno a quel pontefice ed alla sua famiglia, sono per la maggior parte invenzioni degli storiografi di corte di Giulio II, nemico acerrimo, in vita ed in morte, del suo predecessore Alessandro VI.

Da Borgia a Bori per fugare il malcostume

Giulio II era un uomo duro e di pochi scrupoli e si vendicò del rivale quando riuscì finalmente ad ascendere sul trono di San Pietro, incoraggiando tutto un fiorire di opuscoli che servirono a vituperare nella pubblica opinione la figura di Alessandro VI e dei suoi familiari. E quella fosca luce rimase accesa anche nei secoli posteriori, tanto che il celebre soprano spagnolo dei principi del ‘900, Lucrezia Bori, che si chiamava in realtà Lucrezia Borgia, non osò presentarsi al pubblico, specie americano, con questo nome offuscato dalle calunnie ed indicato come esempio di malcostume, e mutò in Bori il tanto più illustre cognome di Borgia.

La campagna denigratoria dei Savoia per offuscare ogni bel ricordo dei Borboni

La cattiva reputazione si impadronì anche della fama degli ultimi Borboni, sovrani delle due Sicilie. Questo avvenne, come è facile capire, per colpa dei Savoia che li sbalzarono dal trono nel 1860. I Savoia non erano universalmente graditi nell’Italia meridionale, quando l’annessero al costituendo regno d’Italia. Occorreva dunque nuocere nella pubblica opinione agli antichi sovrani. Questa campagna denigratoria però non partì da Vittorio Emanuele II, personalità aliena da simili manovre, ma dal conte di Cavour e dai suoi successori nella carica di Presidente del Consiglio, che tentarono di scalzare in ogni modo il gradito ricordo dei Borboni dalle menti dei loro antichi sudditi.

Furono così poste sotto una luce assai fosca, per esempio, le misure repressive che prese Ferdinando IV quando ritornò a regnare nel suo regno napoletano. Regno dal quale fu cacciato dai liberali appoggiati dai francesi. E’ vero: Mario Pagano, Domenico Cirillo, Gennaro Serra, Eleonora Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice salirono il patibolo. Ma si trattava di persone che avevano nientemeno che scacciato il re dal trono ed il regno avevano trasformato in una repubblica, aiutati in questa manovra dagli stranieri.

Ferdinando II soprannominato “tiranno”, ma con una sola condanna a morte

E Ferdinando II non è stato forse affidato alla banale conoscenza della storia come un bieco tiranno, mentre in tutto il suo regno firmò una sola condanna a morte, che ebbe esecuzione, quella contro Agesilao Milano? E anche questo non lo fece a cuor leggero. Fu costretto dai suoi ministri i quali pretesero la pena suprema nei riguardi di un soldato che era uscito dalle file del suo battaglione, mentre il sovrano lo passava in rivista, ed aveva tirato un colpo di baionetta contro il re. Ma perché non ricordare anche che Carlo Poerio, Silvio Spaventa, Luigi Settembrini e tanti altri condannati a morte immediatamente graziati e che, dall’ergastolo, li fece scappare proprio lui, Ferdinando II, che preferì creare esuli al posto di martiri?

Francesco II: il soprannome “Franceschiello” per deriderlo

L’ultimo dei Borboni, poi, Francesco II, è affidato al ricordo dei posteri da una storiografia quanto mai faziosa, dovuta in buona parte ad alcuni liberali che sotto il padre di lui avevano patito la galera. Ed ancora oggi Franceschiello, come per irriderlo lo chiamano, viene trattato come un inetto ed un pusillanime. Vero è che la spedizione dei Mille rimane ancora oggi una grossa incognita e non si arriva a comprendere come un pugno di avventurieri, guidati da quell’uomo di genio che fu Garibaldi, poté travolgere l’esercito più organizzato e meglio equipaggiato di tutta l’Italia. Ma dimentichiamo, a bella posta, che Francesco II occupò il trono a soli 24 anni ed imprevedibilmente, perché suo padre morì di tifo non ancora 50enne.

Francesco III e il ritiro a Gaeta con Maria Sofia di Baviera

Lui, taciturno, timido, impacciato, non aveva nessuna pratica né di governo né di politica e la marea dell’ondata garibaldina lo aveva travolto mentre veniva abbandonato anche dai più fedeli. Si ritirò nella roccaforte di Gaeta insieme con la 19enne e bellissima moglie Maria Sofia di Baviera ma, una volta a Gaeta, i due sposi sostennero con impavido coraggio per 3 mesi un durissimo assedio da terra e da mare e dettero prova, l’uno e l’altra, di un valore che impressionò anche i soldati di mestiere e si esplicò non solo sui bastioni, quando si esponevano al fuoco nemico, ma anche nelle vie e nelle casupole di Gaeta, negli ospedali militari improvvisati, dove il tifo mieteva vittime, ed il contagio lo propagava.

Il che non impedì ai due giovani di confortare i morenti, curare gli ammalati, mettere mille volte a repentaglio le loro fresche vite, che nessuno dei due pensava avrebbero dovuto, al loro inizio, sopportare una prova tanto dura.

Però, sin da quando i sovrani napoletani presero il cammino dell’esilio, incominciò a farsi strada, sia pure timidamente, la verità. E mentre Giacinto de Sivo scriveva una sua storia dei Borboni, in cui li difendeva ad oltranza, Carlo Garnier pubblicava il giornale dell’assedio di Gaeta al quale aveva partecipato e metteva in luce la fermezza del carattere di Francesco II e di Maria Sofia, non solo difendendoli, ma a tratti, esaltandoli.

Quale sarà il soprannome di Re Carlo III?

Chissà quale sarà l’aggettivo che re Carlo III riceverà e apporrà per sempre dopo quel numero ordinale. Meglio essere ricordato nei secoli con un nomignolo bello ma falso, o brutto ma vero? Ai posteri come al solito l’ardua sentenza, ricordando loro che è sempre meglio inciampare nella verità, qualunque essa sia. Tanto, nella maggior parte dei casi, l’uomo si rialza e continua per la sua strada…

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