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Libri

Quanti viaggi fra le pagine di un libro

Perché con la fantasia si raggiungono mete inarrivabili…

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Andare, semplicemente andare…

È tempo di vacanza. Già nella parola c’è un semplice gesto liberatorio, un andare senza una meta prestabilita, l’eco di qualcosa a cui ci sottraiamo, che lasciamo alle nostre spalle, un’immersione nel cerchio magico dell’otium, un abbandono arioso e lieve indipendente dal luogo ove si va.

Il destino del libro in valigia

Tutti sono alle prese con la preparazione dei bagagli, valigie piccole e grandi, a seconda della durata del viaggio e della distanza da percorrere. Molti, alcuni di essi soltanto per darsi un tono, ripongono tra costumi e ciabatte, anche un libro, che si ripromettono di leggere con la voglia di staccarsi dalla routine quotidiana, dove spesso il tempo scorre imponderabile più veloce delle lancette, e innalzarsi oltre i confini del reale, tra un tuffo e l’apparente frescura dell’ombrellone.

Il più delle volte, quel povero volume resta intonso nella tasca interna laterale del borsone, con il rischio che al ritorno dalle vacanze non abbia nemmeno una sistemazione consona su uno scaffale della libreria, rimanendo vicino ad un umido dismesso indumento, dimenticato nell’armadio sino all’estate successiva. Di solito la scelta cade su un libro che ha per argomento viaggi in località tropicali, verso montagne inesplorate e oceani cristallini, così guardando l’orizzonte dalla riva del mare del paesino nel quale trascorrere i giorni d’agosto, si può sognare e viaggiare con la fantasia.

Il miglior viaggio? Quello con la fantasia

Nella speranza che qualcuno legga almeno questo mio articolo, consiglio un libro che ha per argomento un viaggio sì, ma dove i mezzi di trasporto non sono aerei e treni, bensì immaginazione, immedesimazione, sogno e fantasia: il Don Chisciotte di Miguel Cervantes. La Storia, diceva Pascal, sarebbe stata diversa se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, anche di pochi millimetri, o se quel benedetto calcolo non si fosse messo di traverso nell’uretere di Oliver Cromwell: in entrambi i casi sarebbero cambiati gli assetti politici, sociali e religiosi d’Europa, cioè i destini del mondo. Gli storici oppongono che la Storia non si fa con i “se“, essendo narrazione di quel che è stato e non di quello che avrebbe potuto essere.

È proprio questo a distinguere la Storia, la quale narra quello che è successo, dal Romanzo, che narra quello che non è successo, e che succede per il solo fatto di essere letto. Inserire le storie nella Storia, far esistere quello che in realtà non è mai esistito, o almeno così crediamo: questo è il romanzo. Don Chisciotte, cavaliere dell’utopia con la sua dissennatezza da letterato a cavallo di un ronzino, grazie alle sue storie attraversa alla pari la Storia, permettendoci di assistere ad una storia o ad alcuni eventi o a un pensiero, e nell’assistervi ci permette di entrarci dentro e di andare oltre, di viaggiare. A volte si gioca con i “se” pensando che sarebbe potuto andare meglio, modificando nella nostra mente i tasselli e rimettendoli come più ci aggrada; invece il “se” che sto per raccontare avrebbe negato all’umanità uno dei capolavori assoluti della letteratura mondiale.

Un libro che poteva non essere scritto

Che cosa sarebbe successo se nel settembre 1569 al ventiduenne Cervantes il boia avesse applicato, come usava, la pena prevista sulla base dell’ordine di arresto firmato da sua maestà l’imperatore Filippo II per il ferimento in duello di un cavaliere, tale Antonio de Sigura, e gli avesse quindi mozzato la mano destra? Forse non lo sapremo mai, dal momento che il giovane Cervantes, per nostra fortuna fuggì in Italia, salvando così la preziosa mano. Tuttavia, giocando con i “se“, possiamo supporlo quello che sarebbe potuto succedere, o meglio non succedere, non avremmo mai combattuto contro i mulini a vento. Un paio d’anni più tardi arruolatosi nella compagnia di Diego de Urbina, Cervantes perse l’uso della mano sinistra durante la battaglia di Lepanto per un colpo di arma da fuoco, quella che l’Ariosto, nei canti IX e XI dell’Orlando Furioso, definiva «machina infernal», «maladetto, […] abominoso ordigno», «scelerata e brutta invenzïon» a causa della quale «il mestier de l’arme è senza onore», perché aveva distrutto il valore e la virtù dei cavalieri antichi. La perse, la mano sinistra, combattendo contro i Turchi, ossia quei Mori che assediano l’immaginario di tutti gli eroi dell’epopea occidentale dalla Chanson de Roland all’Orlando Furioso alla Gerusalemme Liberata, e quindi anche del più feroce lettore delle loro storie, don Chisciotte, ribattezzato «Cavaliere dalla Triste Figura» dal suo scudiero Sancio Panza. 

Se” il boia avesse compiuto il suo dovere, mozzando la mano destra a Cervantes, senza più mani, non avrebbe potuto scrivere il Don Chisciotte: e quindi la storia dell’ultimo cavaliere errante non sarebbe entrata nella Storia e noi lettori non avremmo viaggiato nella più affascinante delle fantasie letterarie. Nel Don Chisciotte a un mondo poetico, ideale, viene contrapposto un mondo vero e prosaico, tanto è che il Chesterton affermava che la cosa più mirabile del romanzo è il perfetto e giusto bilanciamento fra i due piatti della sua stadera: la realtà e il sogno. Invece tale equilibrio, secondo Borges, è illusorio. Così come sentiamo che Omero è dalla parte di Ettore e non di Achille, non c’è lettore sensibile che non sappia che Cervantes è dalla parte dei sogni eroici e non della comune realtà. 

Libertà vuol dire immaginazione

L’essenziale è l’immagine ulteriore, l’indefinita rappresentazione inconfondibile, che la lettura lascia nel ricordo. Da questo punto di vista, l’impresa del Don Chisciotte è indubitabile. La figurazione dell’idalgo e del suo scudiero e delle loro sconfitte ridicole è divenuta una parte indistruttibile e preziosa della memoria umana. Chiuso il libro, il testo continua a crescere e a ramificarsi nella coscienza del lettore, perché tra la realtà e il sogno, c’è la fantasia, e quest’altra vita è la vera vita del libro, quella che partoriamo noi con la nostra emozione, dalla riva di quel mare di quel paesino tanto piccolo quanto immenso.

Lascia sempre vagare la fantasia.
È sempre altrove il piacere:
solo a toccarlo, si scioglie, dolce,
simile alle bolle d’acqua della pioggia intensa.
Lasciala vagare lei, l’alata…
Per il pensiero che davanti ancor le si stende;
Spalanca la porta della gabbia della mente,
e vedrai che si slancerà volando verso il cielo.

“Se non fosse che ho dei brutti sogni”

Evocando John Keats, il grande poeta romantico londinese, prendiamo atto che accanto alla realtà spesso amara, entra in scena un’altra realtà umana, proprio la fantasia, simile a una creatura alata viaggiante. Essa apre la serratura della mente che è simile a una gabbia e vola verso l’infinito. Si può essere relegati in una cella, oppure votati a un’esistenza monotona e ristretta, ma la fantasia può condurti altrove, verso orizzonti che la lettura e la libertà del cuore rendono aperti e sconfinati e all’interno dei quali si può procedere e scoprire ciò che hai sempre sognato, ma mai pensato prima. Come affermava Shakespeare nell’Amleto: «Oh Dio, io potrei essere segregato in un guscio di noce e credermi re di uno spazio infinito, se non fosse che ho dei brutti sogni». 

Leggendo il Don Chisciotte – augurandomi che non tutti abbiano i problemi del principe di Danimarca – i sogni sono belli, noi stessi ci sentiamo parte del sogno e scolpiti nella fantasia, viaggiando all’infinito, molto di più di quanto un viaggio reale possa offrire. Beh se non volete perdere tutto questo, arrivati in camera d’albergo, quando disfate la valigia, prima di riporla sull’armadio, ricordatevi di quella tasca interna laterale. È lì dentro il vostro viaggio più bello, dove l’anima porta realmente voi stessi in vacanza. 

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