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TV e SPETTACOLO

Matrimonio a prima vista funziona davvero? L’esperimento che ha unito solo una coppia in 6 anni ha qualcosa che non va

Colpa degli esperti o c’è altro dietro il fallimento continuo dei concorrenti?

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Tre esperti, decine di concorrenti e anni di puntate per rispondere ad una sola domanda: è possibile prevedere l’amore? Si può formare una coppia solida cominciando dal fatidico ‘sì’? Questo è il leitmotiv alla base dello show Matrimonio a prima vista, in onda dal 2016 (su SkyUno e Tv8 prima, su Discovery+ e RealTime poi) che ha conquistato l’apprezzamento di una grande fetta di pubblico televisivo. Il format del reality si presenta molto originale e in grado di resistere all’effetto “già visto” grazie alle sempre diverse tipologie di relazioni che si instaurano ogni edizione tra le varie coppie in gioco, che poi tanto gioco non è, in quanto si tratta di un vero e proprio esperimento sociale che mira a creare legami in grado di durare ben più del programma stesso. Oltre dunque alle soggettive opinioni sulla gradevolezza dei minuti spesi davanti al televisore, risulta sensato chiedersi anche quali siano i risultati di questo esperimento.

Matrimonio a prima vista: l’amore nasce sotto ricatto

Numericamente c’è poco da discutere: delle 18 coppie formate nelle prime sei edizioni, solamente una ha resistito al dopo-reality. A mantenere il ‘sì’ alla chiusura del programma le coppie sono state 8, sette delle quali hanno però optato per il divorzio entro i sei mesi successivi alla decisione di fine show. Unica eccezione, Martina Pedaletti e Francesco Muzzi, convolati a nozze nella sesta edizione del programma e ancora felicemente sposati, tanto da annunciare il rinnovo del ‘sì’, che avverrà a breve per dare giustizia alla cerimonia limitata avvenuta durante la trasmissione a causa del Covid.

Colpa degli esperti o del matrimonio in sé?

Francesco Muzzi e Martina Pedaletti, unica coppia ancora sposata

Viene a questo punto spontaneo chiedersi perché le coppie formate dagli esperti non durino e le risposte a tale quesito possono essere solamente due: o i vari psicologi, sessuologi, esperti in comunicazione non sono assolutamente in grado di stabilire l’affinità tra i candidati, oppure sono le dinamiche stesse del reality a possedere caratteristiche che inficiano il risultato di Matrimonio a prima vista. La prima opzione, per quanto in alcuni casi l’accoppiamento dei protagonisti appaia abbastanza azzardato, è smentita dal curriculum dei vari professionisti, che sembrano invece condannati al dover recitare i panni di moderni Frankenstein e dar vita a ciò che sostanzialmente oggi appare più morto che vivo, ovvero il matrimonio di per sé.

Cambiando l’ordine della relazione, il risultato non cambia

Affidarsi a Matrimonio a prima vista per trovare l’anima gemella vuol dire sostanzialmente allocare a tre perfetti sconosciuti (per quanto esperti) una capacità maggiore della propria di saper scegliere una persona con la quale condividere l’avvenire, accettare un appuntamento al buio che prevede un giuramento d’amore e una firma su un contratto di nozze e, solo successivamente, vivere (in un contesto decisamente alterato sotto il costante occhio delle telecamere) una quotidianità di pochi giorni al termine dei quali decidere se rimanere sposati o meno. Leggendola così le probabilità di successo appaiono risicate e forse è bene che sia così, è bene che non basti così poco affinché due persone decidano di passare insieme il resto della propria vita.

“Male che va, mi sposo”

Matrimonio a prima vista è una roulette russa al contrario, si gioca con una pistola piena di proiettili e un solo colpo a salve. La maggior parte delle coppie alla fine salterà, ma non trattandosi di un normale gioco, cosa resterà nella psiche di chi davvero si è fidato dello show? Inoltre a partecipare, per stessa ammissione dei candidati, sono spesso persone che hanno già avuto grosse scottature sentimentali e che, non confidando nemmeno più nel buon destino, scelgono di affidare il proprio cuore agli esperti. I quali però non fanno altro che replicare l’algoritmo di Tinder, togliendo però anche la possibilità di fare swipe a destra.

Nessun vincitore, tutti vincitori

E allo spettatore cosa resta? Un’analisi finale che esponga in termini scientifici ciò che non ha funzionato tra i caratteri dei partner? Parole schiette che sottolineino comportamenti e meccanismi psicologici nocivi emersi durante le puntate? Nulla di ciò, poiché ovviamente risulterebbe davvero poco correct definire un candidato manipolatore, maschilista, troglodita, quindi tutti bravi (al massimo incompatibili) e, alla fine della fiera, chi guarda, si farà bastare qualche meme divertente apparso su Instagram.

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