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Maradona: il poeta eternato da una Napoli che con lui ricominciò a sognare

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Sognare per essere e esserci per continuare a sognare

Come l’uomo fin dai tempi più remoti ha sentito istintivamente la necessità di riconoscere una forza superiore cui sottomettersi, così ha pur sentito il bisogno di rappresentarla materialmente, fino a farla diventare meravigliosa manifestazione artistica. Una statua di Maradona, domenica sera, è stata donata allo stadio che da un anno porta il suo nome, per omaggiare le sue gesta e incastonarlo nella casa delle sue magie. 

El pibe de oro per i tifosi napoletani non avrebbe avuto bisogno di nessuna scultura bronzea per essere idolatrato, lui unicum nella storia del calcio e della città azzurra, lo era già da vivo, idolo in campo e fuori, manifestazione artistica di se stesso.

Una Napoli ferita, curata da un medico argentino

La Napoli degli anni Ottanta era quella in ricostruzione, terremotata; le ferite aperte e profonde, non solo nei muri dei palazzi, ma negli animi della gente, sconfortata ma forte e pronta ad una rinascita, a insistere a sognare per ravvivare il fuoco della vita. Ci voleva una scintilla, un entusiasmo per portar via quel grigio velo di fumo che offuscava il sole, per fare definitivamente cicatrizzare la rassegnazione, per accompagnare per mano il destino ed i sogni di una città. 

Ed entusiasmo fu. 

Passione, intensità, voglia e dovere di farcela a ogni costo. Il popolo azzurro fu ispirato da quel genio con il pallone cucito sul piede sinistro, capace con le sue doti di trapezista in equilibrio su polvere di stelle, di risolvere da solo partite, sparando tiri fulminanti balisticamente irreali o servendo passaggi dalle traiettorie impossibili, circondato da mille gambe nemiche. La Partenope azzurra fu spinta verso l’alto da una forza soprannaturale, ricominciò a guardare l’orizzonte senza paura dell’infinito, a sognare senza capire che stava sognando già la realtà. Maradona così si autoscolpisce, plasmandosi col metallo più prezioso, quello inestimabile dei sogni, diventando idolo vivente di un popolo, il suo, quello napolargentino

La Mano de Dios, il simbolo della lotta per la libertà

In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario, e allora senza dubbio Dieguito è stato il “Che Guevara” dei tempi moderni, ma anche cavaliere romantico ed errante contro i mulini a vento delle stanze dei bottoni del calcio. Ogni suo gol era una rivincita sulla storia, e il suo schiaffo geniale all’Inghilterra con la mano sinistra è ancora lì, simbolo della lotta dell’uomo contemporaneo per la libertà. I suoi gesti poetici in campo erano dotati di freschezza, creatività, sensualità e musicalità; affrescavano, sull’erba e nelle pupille degli spettatori ammaliati, un’immagine cristallina, quella della liberazione dello spirito e della indomita versatilità dell’uomo. Nel calcio freddo di fine secolo, che esigeva di vincere e proibiva di godere, questo ragazzo venuto da lontano, dalla terra del tango, ma sin dalla nascita scugnizzo napoletano, è stato uno dei pochi a dimostrare che la fantasia può anche essere efficace, come sul prato verde così anche nella vita. Lui che da bambino di notte dormiva abbracciato alla palla, sognando una città bagnata d’azzurro e appassionata dal fuoco di un vulcano; e di giorno con lei faceva prodigi per incantare il mondo.

Rincorrendo un sogno: Dieguito

Al ragazzo d’oro, per diventare immortale ed essere per sempre la Mano di Dio, mancava soltanto l’amore di un intero popolo, nel cui sangue scorrevano veloci le lettere del suo nome, tutte dirette nel punto più intimo di ognuno di noi, quel luogo invisibile, tra un battito e l’altro del cuore. Napoli completò il miracolo e rese eterno il campione, suggellando quel sentimento puro, dedicandogli i versi nostalgici di una antica canzone:

Oje vita, oje vita mia

Oje core ‘e chistu core

Si’ stata ‘o primmo ammore

E ‘o primmo e ll’ùrdemo sarraje pe’ me!

Ma è davvero accaduto tutto questo o è una favola fatta di sogni? È esistito sul serio quest’uomo o è un’invenzione per ricordarci di sognare? E se tutti noi fossimo sogni che qualcuno sogna? Diego era un sogno, che rese la realtà un sogno mai sognato prima, e quel sogno continua a infiammare gli animi vibranti di chi lo ha amato e lo sogna ancora palleggiare, come la prima volta nel cuore dello stadio San Paolo.

Era il 5 luglio 1984, tutti gli spettatori credevano di sognare.

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