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Le notti bianche di Fëdor Dostoevskij: 4 notti o una vita intera

Alienazione e il suo contrario, disincanto e immaginazione: i nonluoghi dell’anima di Dostoevskij in uno dei suoi più grandi capolavori

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Le notti bianche, uno delle opere più belle di Fëdor Dostoevskij

Era una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani, gentile lettore. Il cielo era stellato, sfavillante, tanto che dopo averlo contemplato, ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo simile potessero vivere uomini irascibili ed irosi“, e questo è solamente l’incipit de Le notti bianche, ciò che già di per sé rende glorioso e memorabile una delle più grandi opere di Fëdor Dostoevskij ben oltre la fama di cui godono i suoi capolavori più noti quali Memorie dal sottosuolo, Delitto e Castigo, L’Idiota, I demoni o I fratelli Karamazov. Un’opera che collima perfettamente con l’attualità, in questi tempi solitari: il desiderio e la brama che agita l’animo di un uomo fantasma alla ricerca di un incontro, di un’emozione tangibile che annienti l’alienazione propria dell’essere immerso nel reale e al contempo chiuso nella propria immaginazione.

Le notti bianche, alla luce di San Pietroburgo

Le notti bianche, rispetto alle ancor più famose opere di Fëdor Dostoevskij, potrebbero essere definite come uno dei “racconti giovanili”, essendo venuto alla luce nel 1848, oltre 30 anni prima de I fratelli Karamazov. Fin dal principio, come aveva già sottolineato Gianpiero Piretto, svelano la tensione e la contraddizione di fondo in quell’ossimoro insito nel titolo con l’accostamento della buia notte per antonomasia alla luce. Sbagliato sovrapporvi l’attuale concetto di “notte in bianco”, svilirebbe il più profondo significato che affonda le proprie radici in un particolare periodo dell’anno russo durante il quale, per oltre un mese, il sole è solito tramontare molto tardi. Una luce che si protrae ben più tempo di quanto l’uomo sia abituato, una luce che reca angoscia e che desta turbamento, luci proprie di San Pietroburgo, la città per la quale vaga l’uomo-fantasma in cerca di emozioni, di realtà, di sopraffazione concreta.

Le notti bianche, i nonluoghi dell’anima di Dostoevskij

Una luce inusuale attraversata dall’anima di un uomo senza passato, un sognatore, un giovanissimo solitario che per solitudine vaca magicamente per la città in cerca, si potrebbe dire, di compagnia, di un incontro reale capace di distruggere la sua stessa immaginazione. Così estraneo ed insonorizzato al suono della vita, durante una delle tipiche passeggiate nel periodo delle notti bianche, riscopre un sentimento dissepolto da Nasten’ka, 17enne che incontra in un nonluogo per eccellenza, rifacendoci a Marc Augé, su un ponte.

Un incontro lungo una vita intera, per chi si imbatte nella lettura de Le notti bianche, ma che al suo interno non si prolunga oltre la durata di sole 4 notti. Ed è proprio Nasten’ka, con la sua razionalità sentimentale e irrompere nell’intimo del sognatore regalandogli quell’emozione, il ponte tra il reale e l’immaginazione, il contatto con ciò che è al di fuori di sé. Il motore dell’azione è la disperata e al contento patetica ricerca dell’altro che nel suo essere spregiudicatamente vivido, reale e concreto come l’emozione di un bacio mai dato, agita il fragile e disincantato mondo interiore incarnato dal protagonista, il sognatore.

Quattro notti lunghe una vita intera

Le notti bianche non si può che descrivere come una presa di coscienza tesa tra due mondi inconciliabili, un’andata e ritorno tra il sogno e la realtà, con un finale disincantato al sapore di rimpianto verso una vita mai vissuta e un’emozione vera poi svanita. Ed è nel nonluogo dostoevskijano che si annega, nella tensione interiore del narratore-protagonista, nello scarto di emozioni vissute e non vissute, cercate e rifiutate che si scorge la grandezza di un racconto durato solo 4 notti ma che, per chiunque l’abbia mai letto, durerà una vita.

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