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Libri

Le armi vittoriose dell’uomo di pensiero al tempo del Covid

Solo l’amore per la conoscenza ci salverà

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Scrivere, leggere, riflettere, cogliere attimi del proprio io, emozionarsi, comprendere, farsi comprendere: tutte, oserei dire, necessità fisiologiche dell’uomo. Una malevola interpretazione l’ha tramandato alla modernità come «il padre dei vizi», in realtà l’otium (quello dall’accezione positiva) è la condizione naturale dell’uomo di pensiero, ovvero di colui che non deve “sprecare” la vita inseguendo le basse pratiche manuali del negotium. L’otium da sempre è unito indissolubilmente alla libertà, senza la quale non potrebbe esistere: il suo saggio uso è un prodotto della civiltà e dell’educazione alla cultura.

Il riposo forzato della mente e del pensiero

Ci siamo trovati, dall’inizio della pandemia, sino a qualche settimana fa, in un ozio (quello dall’accezione negativa) obbligatorio e incensurabile, dove il tempo è diventato l’unico marionettista delle giornate. Numeri positivi e negativi rimbalzavano – ahimè ancor oggi – in televisione, comunicando il bollettino dei contagiati e dei deceduti, dando una sola certezza quotidiana: la privazione della libertà, con l’ordine di restare il più possibile a casa, di non uscire, perché solo così ci si poteva difendere dal virus. Ci fu impartito l’ordine di imboscarci, in attesa di rinforzi, i sospirati vaccini, finalmente da qualche mese divenuti a noi familiari. Nulla è così insopportabile per l’uomo quanto essere in un totale riposo forzato, i rischi sono gravissimi: le passioni si affievoliscono, gli affari si allontanano, le distrazioni scompaiono. Egli sente allora il suo nulla, il suo abbandono, la sua insufficienza, la sua dipendenza, la sua impotenza, il suo vuoto. Immediatamente sorgerà dal fondo della sua anima la noia che, a differenza del dolce otium volontario, è mortale. Allora per tentare di tramutare questa condizione nefasta in ozio sano e volontario non ci resta che guerreggiare sempre, con le armi più efficaci che abbiamo in dotazione: il pensiero e la riflessione, la voglia di conoscere e di sapere, e di osservare ciò che ci circonda.

L’escapismo tra le pagine di un libro

E senza uscire di casa… come si fa? Si fa! Si deve! Respirando un libro e vivendolo, viaggiando nell’infinito e sempre invitto spazio della conoscenza. Il sapere non ha confini temporali, è un mare senza fondo solcato da illimitate domande. Del resto a ogni uomo viene data l’opportunità di vivere con saggezza, giacché a tutti (o quasi) è comune il pensare, ma non tutti sono così furbi da approfittarne. Il vero problema dell’isolamento, unica difesa al virus ignobilmente incoronatosi, è stato il tempo. Non dobbiamo mai lasciarlo scorrere, dobbiamo usarlo, altrimenti avendone tanto a disposizione saremmo portati a rallentare le nostre azioni, sino ad azzerarle. Il tempo, questa dimensione tanto affascinante quanto devastante sulla psiche dell’essere umano, sembrava essersi adagiato sul passato, anziché sul futuro. Avevamo quasi vergogna e paura a pensare al dopo, perché non sapevamo come e quando collocare i nostri pensieri: domani, fra mezz’ora, fra tre mesi, fra due anni… non si sapeva. E allora cominciavamo a riflettere sulla “stanza” del passato, unica entità ad avere – forse – una connotazione temporale precisa, tanto da farlo diventare un “presente del passato”, la memoria. Nell’altro “vano”, quello del futuro, non si distingueva nulla; avremmo tanto voluto vederci almeno qualcosa che potesse somigliare a quanto in parte già fatto, ma al momento non c’era niente, solo tanta miopia che rasentava la cecità. Questo tempo era infinito, nel suo movimento continuo e nella sua terribile staticità. Il presente sembrava non esistere, dando ragione a quella gran testa dura di Socrate: alla domanda sull’esistenza del presente rispondeva che se era vero che il passato non esisteva, perché non era più, e se era altrettanto vero che il futuro non esisteva, perché non era ancora, come avrebbe fatto il presente ad esistere, quando era solo una separazione tra due cose che non esistevano? Le lancette dell’orologio, che scorrevano imperversando sul quadrante, ci portavano a farci amare ancor di più la vita, e a riflettere su quanto fatto, visto e vissuto sino a quel momento, anche a chi prima dalla vita non aveva, o credeva stoltamente, di non aver ricevuto nulla, semplicemente perché minacciati così da vicino dalla morte. Parafrasando un pensiero di Proust, l’uomo non deve aver bisogno del cataclisma per amare oggi la vita, dovrebbe sempre bastare il pensare che siamo esseri umani, e che in qualsiasi istante dobbiamo porre la voglia di sapere prima d’ogni altra cosa, la voglia di “oziare”.

L’eco della conoscenza sulle nostre vite

L’amore per la conoscenza aiuta a vivere. Abbandoniamo la diffusa “convinzione” di essere immortali, e ricordiamoci di quante possibilità inesplorate si nascondono sotto la superficie di un’esistenza apparentemente indesiderabile ed eterna; e vecchi ricordi di fatti, all’epoca ritenuti nefasti, riaffioreranno alla mente come simpatiche riflessioni di “psicopatologia della vita quotidiana”. Cari Lettori, se vi sto facendo riflettere, state “oziando”, dunque vivendo la vita nel modo migliore. L’otium, la riflessione e la lettura sono vaccini contro la noia, l’apatia e l’ignoranza. Con queste armi il mondo si svela sempre più, e anche quello che già sapevamo, soltanto adesso, diviene realmente nostro, e forse riusciremo un giorno anche a mettere in pratica qualcosa di buono. Umberto Eco diceva che “Chi non legge, a 70 anni avrà vissuto una sola vita: la propria! Chi legge avrà vissuto 5000 anni: c’era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l’infinito… perché la lettura è una immortalità all’indietro”. L’uomo e la cultura, il pensiero e la riflessione, i libri e la fede, ed in ultimo la speranza mai doma, hanno combattuto, stanno combattendo e usciranno vittoriosi, sempre, ovunque guerreggeranno.

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