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TV e SPETTACOLO

L’Almanacco del giorno dopo e Giacomo Leopardi

Il malinconico filo rosso dell’Almanacco del giorno dopo, ma già Leopardi ci spiegò la vita interrogando un venditore di lunari

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Almanacco del giorno dopo Leopardi Rai e Drusilla

Tutti aspettavamo prima di cena, sul finire degli anni ’70, quella musica medievaleggiante, tale che molti l’attribuirono a Guillaume de Machaut, poeta e compositore francese del ‘300. Era invece la Chanson Balladée, un rondeau in stile rinascimentale, scritta nel 1976 da Antonino Riccardo Luciani quale sigla del programma televisivo L’Almanacco del giorno dopoLe bellissime immagini, a corredo della melodia, venivano proiettate sulle 12 facce di un prisma sulle quali erano rappresentati i mesi dell’anno, tratte da una stampa realizzata all’acquaforte da Giuseppe Maria Mitelli, incisore bolognese del XVII secolo. Alla fine della sigla, il prisma rallentava fino a esporre la facciata relativa al mese corrente, l’inquadratura si avvicinava e compariva la scritta in sovrimpressione: ALMANACCO del giorno dopo.

Il primo almanacco: le origini arabe

Una sorta di calendario illustrato in tv: il santo del giorno, orari in cui sorgono e tramontano il sole e la luna, ricostruzione di avvenimenti storici, piccole biografie, proverbi, buoni consigli, e persino cartoni animati. Il vocabolo ha origine dagli Arabi di Spagna, presso i quali al-manākh (letteralmente il mese) designava tavole astronomiche che davano il modo di determinare il giorno della settimana, di trasformare una data qualsiasi di un’era nella corrispondente di un’altra, di determinare per un giorno particolare la posizione media del sole, della luna e dei pianeti. Quando si parla oggi di almanacco viene in mente una pubblicazione curiosa, bizzarra, umoristica a mo’ di calendario; ma vi fu un’epoca, nei primi tempi dell’invenzione della stampa, in cui rappresentò l’unica lettura, insieme con il libro delle preghiere, dei ceti medi.

Drusilla Foer e il nuovo Almanacco Rai, più veloce e meno romantico

Esso conteneva tutto lo scibile reputato utile e sufficiente alla vita pratica. La Rai in televisione da qualche giorno aveva riproposto in versione rinnovata e molto più lunga, ma meno incisiva di quella storica degli anni ’70, il programma all’epoca condotto dall’annunciatrice Paola Perissi, e oggi dall’eclettico attore Gianluca Gori, o meglio dal suo alter ego Drusilla Foer. È una occasione che la Rai ha concesso alle nuove generazioni: far conoscere un’idea del passato che ha fatto la storia della televisione italiana, attraverso la poliedricità dell’attore fiorentino, dando allo spettacolo e agli ospiti maggiore risalto rispetto alle rubriche stesse. Ma si sa, lo spettatore medio di oggi è di bocca buona, si nutre di pane, gossip e performance canoro-teatrali anche se non di altissimo livello, nonostante la bravura drusilliana.

Purtroppo la trasmissione non poteva essere uguale strutturalmente a quella originale, non avrebbe avuto alcun senso: oggi domina la quantità, il minutaggio, lo scorrimento veloce, il dio internet sul dito di tutti, mentre il vecchio almanacco era caratterizzato da tempi ristretti scanditi da battute romanticamente lente, sfumate bucolicamente.

Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere, Giacomo Leopardi

Oggi riguardarlo in verità mi ha messo un po’ di nostalgia, forse ricordando l’infanzia passata e quegli interessanti 10 minuti in attesa della cena. La malinconia ha fatto capolino, intesa come presentimento languido e pessimista che la felicità sia irraggiungibile. Ma “responsabile” di tali pensieri non è il mal rivisitato e già licenziato nuovo programma, bensì l’immenso Giacomo Leopardi, avendo riletto il suo Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere. Appartiene alle Operette Morali e risale al 1832. La scena si svolge in una strada affollata per le festività di fine anno.

Un venditore ambulante pubblicizza a gran voce i suoi almanacchi per il nuovo anno: “Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi“. Un passeggere (oggi diremmo un passante) viene agganciato dal venditore: “Bisognano, signore, almanacchi?“. Il passeggere poteva comprarlo e basta, oppure rifiutarlo; ma evidentemente non era un passante qualunque.

Il venditore di almanacchi e il passeggere sono entrambi, in realtà, proiezioni sdoppiate dell’animo di Leopardi, come di chiunque di noi.

Da un lato la ragione che indaga; dall’altro la vita che vuole essere comunque vissuta. C’è qualcosa di pirandelliano ante litteram in questo vitalismo a tutti i costi, che fa a pugni con l’amarezza profonda per la natura matrigna e per la sorte terribile dell’intero universo descritte negli ultimi versi del Canto notturno di un pastore errante dell’Asia:

Forse in qual forma, in quale

Stato che sia, dentro covile o cuna,

E’ funesto a chi nasce il dì natale.

Non vi piacerebbe che l’anno nuovo fosse come uno degli ultimi anni?”

Il passeggere domanda al suo interlocutore: “Credete che sarà felice quest’anno nuovo?“. Che dovrebbe rispondere il venditore? Se dicesse che le sue previsioni sono nere, nessuno acquisterebbe l’almanacco; la risposta è scontata: “Oh illustrissimo sì, certo“. Filosoficamente, ottenuta una risposta, si va avanti per provocarne un’altra. Il passeggere allora, con una punta di sarcasmo, inizia un serrato interrogatorio su come sarà il nuovo anno. “Come quest’anno passato?“. No, risponde il venditore, sarà molto più felice: “Più più assai“. Ma come allora, come 2 anni fa? No: “Più più, illustrissimo“. Qui il passeggere potrebbe stufarsi, comprare l’almanacco o rinunciarci e andar via; invece insiste, chiede al poverino a quale anno in particolare vorrebbe che somigliasse il nuovo: “Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?“.

Qui la fiducia del venditore comincia a incrinarsi: “Signor no, non mi piacerebbe“. Le riflessioni del passeggere portano così i primi frutti, che insiste con le domande: da quanti anni il tizio vende almanacchi? Da molto tempo: “Saranno vent’anni, illustrissimo“. E possibile che tra questi 20 anni non ce ne sia nessuno cui il venditore vorrebbe che il nuovo anno fosse simile? Il brav’uomo annaspa: “Io? non saprei“. “Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?”.

Il tempo della vita e il tempo della scienza

C’è da supporre che qui l’ambulante stia un attimo a pensare, ripercorra con la mente i giorni della sua vita, illusioni, speranze, sogni, gioie, dolori, amarezze. La risposta alla fine è desolante: “No in verità, illustrissimo“. A questo punto il passeggere si gioca la carta dell’ovvietà: “E pure la vita è una cosa bella. Non è vero?“. E il venditore, genuina espressione della speranza popolare, non può che essere d’accordo: “Cotesto si sa“. Il passeggere irrompe con una domanda assurda, impossibile: “Non tornereste voi a vivere cotesti vent’anni, e anche tutto il tempo passato, cominciando da che nasceste?“.

Che meravigliosa proposta, degna di un Dottor Faust! Chi non risponderebbe affermativamente a questa richiesta? Infatti il venditore, illuminandosi in volto, forse con un breve sospiro malinconico, replica: “Eh, caro signore, piacesse a Dio che si potesse“. Rivivere la propria vita da zero, ripercorrere il cammino già fatto, magari con il senno di poi, con la saggezza tardiva del domani! Rinascere, essere di nuovo bambino, giovane, adulto e infine vecchio, ancora una volta e una volta ancora! Rivivere tutto il nostro percorso di vita, un giorno dopo l’altro, un anno dopo l’altro… Un sogno.

Rivivere da zero la stessa vita, o una vita nuova?

Ma il sogno viene infranto dalla nuova domanda del passeggere: “Ma se aveste a rifare la vita che avete fatta né più né meno, con tutti i piaceri e i dispiaceri che avete passati?”. Ah, questo no: “Cotesto non vorrei“. E il passeggere in tono provocatorio: “Oh che altra vita vorreste rifare? La vita ch’ho fatta io, o quella del principe, o di chi altro? O non credete che io, e che il principe, e che chiunque altro, risponderebbe come voi per l’appunto; e che avendo a rifare la stessa vita che avesse fatta, nessuno vorrebbe tornare indietro?“.

Ah, allora le cose cambiano. Rivivere la stessa identica vita? Ripercorrere i dolori già vissuti? Ritrovare le persone care perdute per poi riperderle? Tornare inesorabilmente a invecchiare, ad avere sempre più acciacchi, ricordi e dolori? Di nuovo? Varrebbe la pena di rifare la stessa vita? Il venditore riflette e risponde desolato: “Signor no davvero, non tornerei“.

Oh che vita vorreste voi dunque?“. Che potrebbe rispondere il brav’uomo? Troppo umile e umano per desiderarla spericolata. E allora servilmente con voce dimessa: “Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti“. Dunque, una vita a caso“, di cui non si sa nulla prima, come nulla sappiamo dell’anno nuovo. Le sue conclusioni mescolano argutamente il pessimismo più nero con un ottimismo di facciata:

“Quella vita che è una cosa bella”, il futuro

Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. [..] Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?”.

E se all’inizio il venditore aveva risposto con sicurezza assoluta (“Oh illustrissimo, sì certo”), ora si limita a un laconico speriamo. Non c’è altro da dire; e il passeggere chiede “l’almanacco più bello“. Ne riceve uno da 30 soldi, lo compra e si allontana. Il venditore riprende il suo richiamo, forse con una nota strozzata in gola: “Almanacchi, almanacchi nuovi; lunari nuovi“.

La lezione di leopardiana

Leggere Leopardi e la sua attualità, oltre a subire il fascino delle sue pagine, produce un desolante senso di reale tristezza. Meglio dunque reagire come il semplice venditore di almanacchi, meglio dire “speriamo“, meglio ribadire che “la vita è una cosa bella“, perché “cotesto si sa” e guardare con sorriso non malinconico ma speranzoso l’Almanaccco del giorno dopo, non più quello televisivo, minestra riscaldata male e già sospeso dalla programmazione, bensì quello della nostra vita!

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