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Attualità

L’abietto striscione istigante distruzione e morte: l’illusione (per alcuni) di appartenere al genere umano

La grande illusione è l’idea che la guerra che si sta combattendo sia l’ultima, ma è anche l’illusione della vita, l’illusione che ciascuno si fa del ruolo che gioca nell’esistenza

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Il grande dittatore di Charlie Chaplin

Vi sono nel mondo persone riprovevoli che vanno smascherate, esseri abominevoli e indegni di far parte di una società civile. Gli onesti, i veramente onesti, hanno diritto di sapere con chi parlano, a chi stringono la mano, da quali persone fanno frequentare la loro casa e i loro figli. Mai aggettivo per un titolo è stato da me più ricercato come in questo caso. Lo striscione apparso nei pressi dello stadio Bentegodi, con tanto di firma della Curva Sud Hellas Verona, la cosiddetta frangia estrema del “tifo” – il tifo vero è un’altra cosa! – gialloblù, in occasione della partita contro il Napoli, è abietto. Su un pezzo di stoffa bianca appaiono le bandiere della Russia e dell’Ucraina e poi una serie di numeri che rappresentano le coordinate geografiche della città di Napoli, chiaro riferimento a un luogo da bombardare, vista la tragica situazione bellica dei nostri giorni.

L’aggravante motivo abietto

L’abietto è ciò che è così spregevole da dover essere moralmente buttato via, rigettato, allontanato. Deriva dal latino abiectus, participio passato di abicere (buttar via), composto di ab (da) e iàcere (gettare). È qualcosa con cui non si può dialogare: mediare è impossibile poiché è incompatibile coi propri valori etici e culturali più profondi e davanti a cui l’esilio è l’unica risposta umana che si può dare. Più che una parola è una ghigliottina. Tanto è che in tribunale un reato si ritiene aggravato dai motivi abietti quando le cause che hanno portato a compierlo, risultano idonee a rivelare nell’agente un grado tale di perversità da destare un profondo senso di ripugnanza in ogni persona di media moralità. In altri casi meno estremi è difficile immaginare un uso ponderato di questa parola. Invocare la guerra, la morte, la distruzione di una precisa città: una inumana, malvagia e ragionata follia che ci fa comprendere quanto sarebbe utile riguardare il passato attraverso coloro che hanno tentato, in ogni arte compresa quella cinematografica, di urlare con elegante cultura che la guerra non porta alcun vantaggio, neppure per i vincitori, e che fulcro dell’inno all’Umanità non possono che essere la pace e la fratellanza.

La guerra, una grande e disumana illusione

La Grande Illusione (The great illusion) oggi è un libro poco ricordato, ma negli anni che precedettero la Prima guerra mondiale venne stampato con tirature altissime, fu tradotto in venticinque lingue e vendette milioni di copie. In questo saggio del 1909 il giornalista ed economista britannico Norman Angell analizzò la politica internazionale sulla base dei cambiamenti economici avvenuti nell’Ottocento, pervenendo a una conclusione radicalmente antimilitarista: in un mondo economicamente integrato dove tutte le nazioni sono interdipendenti la guerra è solo una “grande illusione” che non offre più nessun beneficio ai vincitori. Malgrado il successo del libro, le classi dirigenti europee non ascoltarono il suo messaggio, e nel 1914 accesero la miccia di un insensato conflitto fratricida tra i popoli europei. La catastrofe economico-sociale provocata dalla guerra non risparmiò nessun Paese – e qui l’attualità è terrificante -, confermando così la  tesi  di  Angell, che nel 1933 vinse il premio Nobel per la pace.

L’effimera e falsa convinzione di combattere, sempre, “l’ultima guerra”

La Grande Illusione (La Grande Illusion) è anche il titolo di un film del 1937 diretto da Jean Renoir: uno dei grandi capolavori della storia del cinema. Un film unico che tutti dovrebbero vedere almeno una volta nella vita, perché non esiste onore che tenga di fronte al valore della vita umana, e non si tratta di un valore religioso o morale: è il valore dato dal semplice fatto che di vita ne esiste una sola e deve essere usata bene, senza valori posticci inculcati per convenienza dai poteri più forti affinché altri si sacrifichino al loro posto. Un grande film umanista, una dichiarazione dell’insensatezza totale della violenza e di tutte le divisioni politiche umane. Due anni dopo Hitler avrebbe invaso la Polonia dando inizio alla Seconda guerra mondiale, e il ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels individuò in Renoir il nemico cinematografico numero uno. Molti si sono interrogati sul significato del titolo La Grande Illusion e una probabile risposta ci viene data dal dialogo finale tra il tenente Maréchal (Jean Gabin) e il soldato Rosenthal (Marcel Dalio) quando nel gelo della neve stanno per valicare la frontiera svizzera, verso la libertà: -Maréchal-: “Il faut bien qu’on finisse cette putain de guerre… en espérant que c’est la dernière“. –Rosenthal-: “Ah, tu te fais des illusions!“. La grande illusione è dunque l’idea che la guerra che si sta combattendo sia l’ultima, ma è anche l’illusione della vita, l’illusione che ciascuno si fa del ruolo che gioca nell’esistenza. Così come è un’illusione pensare che l’ultima guerra sia davvero l’ultima, è illusorio anche pensare di chiudere gli uomini dentro steccati, in quanto il bisogno di libertà è connaturato alla nostra specie, e che i nostri simili non smetteranno mai di infrangere le barriere che li vogliono imprigionare.

Steccati, barriere, rigidità: fisiche quali le reti che cingono i campi di prigionia, le mura e le alte torri della fortezza di Wintersborn, nonché morali quali le classi sociali, le tradizioni, i pregiudizi di razza, religione, costumi. Tutto il film lavora su queste barriere, e la guerra non è altro che la cartina tornasole che ne fa apparire la vacuità, l’ottusità, in definitiva l’illusorietà, almeno nel senso della loro artificiosità rispetto ai bisogni naturali dell’uomo. È l’idea di frontiera che bisogna abolire. “Le frontiere non si vedono mica. Sono un’invenzione dell’uomo: la natura se ne fot*e!“, dirà il protagonista alla fine del film. La guerra è il morbo dei morbi, e chi la propina è dispensatore di morte. La sua vittoria è la vittoria della morte, e l’aureola di eroismo che l’ha circondata, secondo Renoir, seguito poi da Truffaut, appartiene ad un passato barbarico, a uno stadio primitivo dei rapporti umani, a un’età del ferro forgiatrice di armi e di eroi che sono senza paura perché sono ignari della bellezza del vivere.

Il discorso all’Umanità di Charlie Chaplin ne Il Grande Dittatore

Desidero congedarmi da questi miei pensieri sull’insensatezza della guerra, con un altro ricordo cinematografico: il discorso finale sull’Umanità di Charlie Chaplin ne Il Grande Dittatore, suo capolavoro del 1940, che non posso non riportare integralmente, affinché tutti noi possiamo prenderne consapevolezza e sia di buon auspicio per la pace:

Mi dispiace, ma io non voglio fare l’Imperatore, non è il mio mestiere, non voglio governare ne conquistare nessuno, vorrei aiutare tutti se possibile, ebrei, ariani, uomini neri e bianchi, tutti noi esseri umani dovremmo aiutarci sempre, dovremmo godere soltanto della felicità del prossimo, non odiarci e disprezzarci l’un l’altro. In questo mondo c’è posto per tutti, la natura è ricca, è sufficiente per tutti noi, la vita può essere felice e magnifica, ma noi lo abbiamo dimenticato. L’avidità ha avvelenato i nostri cuori, ha precipitato il mondo nell’odio, ci ha condotti a passo d’oca fra le cose più abbiette, abbiamo i mezzi per spaziare, ma ci siamo chiusi in noi stessi. La macchina dell’abbondanza ci ha dato povertà, la scienza ci ha trasformato in cinici, l’avidità ci ha resi duri e cattivi, pensiamo troppo e sentiamo poco. Più che macchinari ci serve umanità, più che abilità ci serve bontà e gentilezza, senza queste qualità la vita è violenza e tutto è perduto. L’aviazione e la radio hanno riavvicinato le genti, la natura stessa di queste invenzioni reclama la bontà nell’uomo, reclama la fratellanza universale, l’unione dell’umanità. Perfino ora la mia voce raggiunge milioni di persone nel mondo, milioni di uomini, donne e bambini disperati, vittime di un sistema che impone agli uomini di torturare e imprigionare gente innocente. A coloro che mi odono, io dico, non disperate! L’avidità che ci comanda è solamente un male passeggero, l’amarezza di uomini che temono le vie del progresso umano. L’odio degli uomini scompare insieme ai dittatori e il potere che hanno tolto al popolo ritornerà al popolo e qualsiasi mezzo usino la libertà non può essere soppressa. Soldati! Non cedete a dei bruti, uomini che vi disprezzano e vi sfruttano, che vi dicono come vivere, cosa fare, cosa dire, cosa pensare, che vi irreggimentano, vi condizionano, vi trattano come bestie. Non vi consegnate a questa gente senza un’anima, uomini macchina, con macchine al posto del cervello e del cuore. Voi non siete macchine, voi non siete bestie, siete uomini! Voi avete l’amore dell’umanità nel cuore, voi non odiate, coloro che odiano sono quelli che non hanno l’amore altrui. Soldati! Non difendete la schiavitù, ma la libertà! Ricordate nel Vangelo di S. Luca è scritto – “Il Regno di Dio è nel cuore dell’uomo” – non di un solo uomo o di un gruppo di uomini, ma di tutti gli uomini. Voi, voi il popolo avete la forza di creare le macchine, la forza di creare la felicità, voi il popolo avete la forza di fare che la vita sia bella e libera, di fare di questa vita una splendida avventura. Quindi in nome della democrazia usiamo questa forza, uniamoci tutti! Combattiamo per un mondo nuovo che sia migliore, che dia a tutti gli uomini lavoro, ai giovani un futuro, ai vecchi la sicurezza. Promettendovi queste cose dei bruti sono andati al potere, mentivano! Non hanno mantenuto quelle promesse e mai lo faranno! I dittatori forse sono liberi perché rendono schiavi il popolo. Allora combattiamo per mantenere quelle promesse, combattiamo per liberare il mondo, eliminando confini e barriere, eliminando l’avidità, l’odio e l’intolleranza. Combattiamo per un mondo ragionevole, un mondo in cui la scienza e il progresso diano a tutti gli uomini il benessere. Soldati, nel nome della democrazia siate tutti uniti! Hannah puoi sentirmi? Dovunque tu sia abbi fiducia. Guarda in alto Hannah le nuvole si diradano, comincia a splendere il sole. Prima o poi usciremo dall’oscurità verso la luce e vivremo in un mondo nuovo, un mondo più buono in cui gli uomini si solleveranno al di sopra della loro avidità, del loro odio, della loro brutalità. Guarda in alto Hannah l’animo umano troverà le sue ali e finalmente comincerà a volare, a volare sull’arcobaleno verso la luce della speranza, verso il futuro. Il glorioso futuro che appartiene a te, a me, a tutti noi. Guarda in alto Hannah, lassù”.

Il Grande dittatore – Charlie chaplin

Le riflessioni di Norman Angell, Jean Renoir, Charlie Chaplin – per citare soltanto quelli da me ricordati – così come di innumerevoli altri pensatori della storia, illuminano e toccano gli animi degli uomini; pertanto invito tutti a rileggere le loro pagine e a rivedere film immortali ove la pace è l’unica vera chiave di felicità nel mondo. Forse anche chi ha pensato, scritto e ostentato quello striscione dovrebbe… No. A pensarci bene sarebbe inutile: ho detto che illuminano e toccano gli animi degli uomini, ma alcuni portano solo l’inutile fardello della loro carcassa inanimata.

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