Attualità
La Terza pagina e l’elzeviro che ogni lettore ha il diritto di rivendicare
“Bisogna cercare di non perdere le tradizioni culturali che hanno reso l’Italia un Paese invidiato dal mondo intero”
La disattenzione per molti è il modo più diffuso di leggere un libro, figuriamoci un giornale, nel frenetico mondo contemporaneo. La fretta porta a ripiegare velocemente un quotidiano, lasciandolo sgualcito sotto un cuscino del divano, senza ricordare neanche l’oggetto dell’articolo di fondo letto qualche minuto prima, per non parlare della mancata attenzione verso alcuni particolari che rendono unico un corriere.
Un tempo sfogliando i quotidiani si provava il piacere di passare repentinamente dalle notizie prevalentemente politiche e generaliste, sviluppate o soltanto “strillate” nella prima e poi “girate” nella seconda pagina, alla gloriosa Terza, che segnava una traumatica interruzione nello svolgimento del racconto degli avvenimenti con l’immersione in uno spazio che trascendeva l’attualità, senza mai dimenticarsene. Un nome che in fin dei conti poteva sembrare lapalissiano, e invece come tutto ciò che appartiene all’uomo, ha una storia.
La sacralità della Terza pagina
Quella pagina, accompagnata dall’aggettivo numerale ordinale, rappresenta l’inserto culturale per eccellenza, illuminato di varietà letteraria, che, giovandosi della collaborazione di scrittori anche illustri, si è fatta mediatrice fra il mondo della cultura e il gran pubblico. Una eccentricità, in apparenza, ma il passaggio dalla cronaca tout court alla cultura, alle pennellate letterarie e poetiche, alle segnalazioni librarie, ai reportage d’autore, alle acute e brillanti digressioni o provocazioni di accademici, storici, intellettuali, ideologi, era come una boccata d’aria fresca d’alta montagna. Consentiva una pausa per chi nella lettura, con piacevole otium, indugiava senza andare oltre, o già assaporava il dolce del dopo, ripromettendosi di gustare ogni riga nei momenti di raccoglimento, quando la mente era finalmente sgombra dai pensieri “profani”.
Francesca da Rimini e Gabriele D’Annunzio alle origini della pagina culturale per antonomasia
Fu Alberto Bergamini, giovane ed intraprendente direttore del romano Giornale d’Italia ad inventare, quasi per caso, nel 1901, quella che sarebbe stata stabilmente la pagina culturale di quel quotidiano e poi di tutti gli altri. L’occasione gliela fornì il più estroverso e prolifico scrittore del tempo: Gabriele d’Annunzio. Si rappresentava a Roma, al Teatro Costanzi, la Francesca da Rimini, interpretata dall’affascinante Eleonora Duse.
Il Vate riponeva nell’opera una speranza che divenne certezza: essere celebrato come la sua vanità ed il suo genio esigevano. Era il 9 dicembre 1901. Bergamini, colto ed intelligente, comprese che una colonna di spalla in prima pagina non avrebbe soddisfatto i suoi lettori nel rendere conto dell’evento teatrale. Inviò a seguire la rappresentazione quattro suoi redattori e quattro servizi avrebbe messo in pagina: musicale, scenografico, critico e mondano. Già, ma in quale pagina? La più evidente dopo la prima, vale a dire la Terza. La sua consacrazione a fama nazionale la si deve a Luigi Albertini (direttore del Corriere della Sera dal 1900 al 1921) e a suo fratello Alberto. I due ebbero una grande influenza nella codificazione della Terza pagina: Luigi ebbe l’intelligenza di legare alla Terza i migliori e più affermati autori italiani con un contratto in esclusiva, mentre Alberto si dedicò alla composizione della pagina.
L’eleganza dell’elzeviro
Caratteristica unica fino a quel momento fu l’uso di un elegante carattere tipografico, l’elzeviro, che diede poi il nome all’articolo principale della pagina. La Terza si apriva infatti proprio con esso, di solito su due colonne e affidato ad uno scrittore celebre; al centro figurava un’inchiesta o un reportage dall’estero; a destra temi vari, cronaca, attualità, argomenti scientifici. A volte veniva inserita un’illustrazione, collocata sempre al centro della pagina. Era il solo articolo che si componeva con i costosi caratteri “elzeviri” che s’importavano dall’Olanda e dalla Germania.
Genesi del carattere tipografico simbolo della prosa alta
Quel carattere raffinato deve il suo nome agli Elzevier, una nota famiglia olandese di librai e tipografi del XVII secolo, alla ricerca di un nuovo segno grafico che rallentasse la decadenza dei caratteri romani. Fu ideato e messo a punto da un loro incisore Christopher van Dyck, disegnatore e fonditore geniale, il quale propose meno contrasto tra spazi vuoti e pieni, le grazie solo accennate e leggermente arrotondate, con una minore incrinatura dell’asse dei rotondi. Il carattere dallo stile barocco, di fatto più piccolo, risultava facilmente leggibile ed elegante.
La Terza Pagina, un nuovo genere
In poco tempo, divenne simbolo di una prosa letteraria alta: nel giugno 1877 la casa editrice Zanichelli scelse il carattere elzeviro per la pubblicazione della raccolta Postuma di Lorenzo Stecchetti (alias Olindo Guerrini), e un mese dopo per le Odi barbare di Giosuè Carducci, promuovendolo dunque a carattere d’alta prosa. A inizi del Novecento, proprio Luigi Albertini lo propose per l’articolo culturale di apertura della Terza pagina, inaugurando così un nuovo genere letterario, in cui la brevità precostituita del testo finiva per condizionare lo stile, più agile e sintetico, giornalistico, appunto. Si prestava grande attenzione ai contenuti e alle firme, ma anche all’architettura della pagina stessa. Tra gli autori che collaborarono alla Terza nella prima parte del ventesimo secolo vi furono Gabriele D’Annunzio, Grazia Deledda e Luigi Pirandello. Tra i giornalisti, ai quali venne in un secondo momento concessa l’opportunità di scrivere l’elzeviro, si distinsero Ugo Ojetti e Luigi Barzini.
L’incontro tra il giornalismo e il pensiero letterario
Difficile trovare una definizione di elzeviro che incontri un consenso unanime: sicuramente quella che lo avvicina al concetto di saggio nell’espressione di un personale parere, che sia un resoconto di un’esperienza diretta o un commento d’attualità e critica storico-letteraria, tenendo alta la propria natura sarcastica e pungente, è la più confacente. La Terza pagina fungeva da incontro tra il giornalismo più schietto e il pensiero letterario. Come ricordava Emilio Cecchi:
Cavalcò i tempi del boom economico per poi cominciare la sua discesa nei cosiddetti negli anni di piombo, quando l’informazione verteva sull’attualità e l’attenzione mediatica si andava politicizzando. Culla di grandi autori della letteratura italiana la Terza pagina e l’elzeviro un caro antenato di opere riprese e riadattate, poi, a nuova forma. Al Corriere della Sera, il giornale italiano che meglio seppe sfruttare questa parentesi letteraria, diversi sono i casi di riscontro che vedono elzeviri rinascere come testi più articolati o racconti. Tra i grandi nomi che ne forniscono un fulgido esempio spiccano Alberto Moravia, Tommaso Landolfi, Goffredo Parise, Italo Calvino e, inevitabilmente, Dino Buzzati e Ennio Flaiano, gli autori che meglio di altri hanno saputo fondere i due ruoli, di scrittore e giornalista, facendo l’uno un arricchimento dell’altro, senza mai dimenticare il proprio stilema, né il formato a cui adeguarsi.
Il cavallo di Troia della cultura
La cultura poteva fare irruzione finalmente nella fragile società italiana attraverso la sistematicità dell’offerta che un quotidiano poteva garantire. La Terza pagina ha avuto il grande merito di introdurre in Italia uno spirito nuovo e originale, in grado di rompere le barriere di un consistente accademismo e provincialismo, che solo con la cultura poteva risorgere e reinventarsi. Il bello stile, unito alla profondità delle descrizioni e delle analisi, miracolosamente comprensibile anche a chi non avrebbe poi disertato né la cronaca nera, né la bianca, né l’informazione economica, né gli spettacoli e men che meno lo sport, trasportava chiunque si soffermasse sulla Terza in un etereo mondo di ricordi, scoperte e fantasie.
Attraverso il variegato mondo della cultura certamente si costruì una sorta di piattaforma identitaria sulla quale, la storia profonda della nazione che si faceva Stato, avrebbe agito da catalizzatrice di una vicenda comune, come comune era la lingua ed il destino unitario di un popolo che si ritrovava socialmente e politicamente. E tanto basta a chiudere la disputa aperta a più riprese, anche nelle redazioni giornalistiche, sull’utilità dei servizi culturali, a meno di non considerarli ausiliari rispetto al resto del giornale, bensì fondamentali anche per il proprio prestigio.
Gli anni della negazione: l’abolizione della Terza pagina e dell’elzeviro
Poi tutto è cambiato, ma non sempre cambiare significa migliorare. Il giornalismo ha subito i prepotenti mutamenti dei mass media, del modo di far cultura notiziando, e anche la pagina più nobile seguì lo stesso impulso, e non poteva essere diversamente. Per omologare la stampa soprattutto all’informazione derivante dalla televisione, si pensò alla metà degli anni Settanta, quelli del terrorismo, di abolire la Terza pagina e l’elzeviro, ma nello stesso tempo di dare respiro ad una cultura sempre però più condizionata dalla politica, allargandola alle pagine centrali del giornale: fu la rivoluzione scalfariana di Repubblica, che indirizzò e condizionò tutti gli altri quotidiani.
Il mondo della Terza pagina e del suo alfiere scomparve, abbandonato quasi da tutti. L’ultimo a cedere fu Paolo Mieli, direttore del Corriere della sera, nel 1992. Oggi la Terza pagina come tale non esiste più, anche se alcuni moderni quotidiani ne hanno conservato la denominazione e non mancano di riservare pagine anche numerose, spesso riunite sotto la denominazione un po’ vaga di “cultura e spettacolo”. Nella società contemporanea, d’altra parte, le occasioni di scambio e di approfondimento culturale sono diventate molteplici, ma non sempre sottili e profonde come in quella pagina.
Il diritto del lettore alla Terza pagina
Bisogna cercare di non perdere le tradizioni culturali che hanno reso l’Italia un Paese invidiato dal mondo intero. Mi appello ai direttori di tutti i giornali, d’ogni campo, sia quelli stampati con tanto di inchiostro e carta, sia quelli pubblicati in rete, di dare a quella cultura lo spazio che merita, almeno una pagina, la Terza.
Poi, se per caso ce ne scappano un altro paio, ben venga, ricordando che la cultura è sempre attuale e con essa non si va mai fuori tema. Un quotidiano, anche se solo sfogliato o “sWEBinato” dalla gente, ha il diritto e il dovere, nei confronti degli scrittori e dei lettori, di avere una Terza pagina, semmai modernizzata, congedando il seicentesco e cavalleresco elzeviro in nome di un paninaro e sportivo arial degli anni Ottanta, a patto però che la cultura, quella con la “ci” maiuscola, abbia sempre un posto di eccellenza e sia sempre più libera di esprimere emozioni, scevra da ideologie politiche, aiutando l’uomo a comprendere il proprio valore storico, la propria funzione nella vita, i propri diritti, i propri doveri, e dandogli consapevolezza della sua dignità.
E se io qui ho il privilegio di poter scrivere, scrivo con la modestia di un umile servitore della cultura, ma con fermezza donchisciottesca e speranzosa volontà, affinché alcune minuscole tessere dell’immenso mosaico della nostra storia culturale non vadano mai perdute.