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MUSICA

La Gioia della Musica

L’editoriale di Roberto De Frede

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É ritornato finalmente in prima serata sulla Rai un programma divulgativo di musica classica, condotto da Corrado Augias, che ci accompagna alla scoperta dei segreti, delle regole e delle invenzioni dei maggiori interpreti che hanno donato al pubblico autentici capolavori. Il titolo, non so se volutamente, riprende quello del libro del grande compositore e direttore d’orchestra statunitense Leonard Bernstein, The Joy of Music, edito nel 1959.

La Gioia della Musica

La “classica”, sia sinfonica che operistica, spesso ahimè finisce in una torre madreperlata, puro piacere estetico per pochi eletti, mentre invece dovrebbe essere prima di tutto educazione alla vita, per ciò che esprime, per i sentimenti che fa sorgere dentro ciascuno di noi e per la sensazione di gioia dalla quale discende una magica ascesa verso mondi sublimi. Ben venga dunque una trasmissione televisiva per tutti, in un orario familiare, dove seduti intorno ad una tavola imbandita, si possono comprendere valori e concetti ideali spesso sopiti, ma sempre fondamentali per vivere la nostra contemporaneità. Molti si chiederanno se, tra le tante, esiste una musica davvero in grado di elevarci, donarci allegria, farci pensare alla morte e renderci epici ed eroici contemporaneamente.

La risposta è sì, e l’abbiamo ascoltata nella seconda puntata del programma. Si tratta non solo del più grande capolavoro sinfonico della cosiddetta “gioventù beethoveniana”, nonostante scritto a Vienna intorno al 1803 alla già rispettabile età di 32 anni, ma anche di un meraviglioso proclama politico-ideologico, unico nel suo genere.

Due accordi secchi come colpi di cannone. Poi una melodia calda e raffinata, che dai violoncelli si riversa sulle trombe e i clarinetti in un crescendo di grande intensità, fino a esplodere maestosamente in tutta l’orchestra. Comincia così la Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore di Beethoven, che inizialmente s’intitolava Sinfonia Bonaparte. In quel periodo Napoleone aveva appena iniziato la guerra contro le potenze dell’Ancien Régime che avrebbe devastato l’Europa per oltre un decennio.

Ma Beethoven non considerava quel generale straniero un invasore, bensì un liberatore che portava con sé gli ideali di giustizia, libertà, fraternità e uguaglianza. Vide in lui il paladino degli ideali della Rivoluzione, che grazie al suo esercito si diffondevano oltre i confini francesi e rovesciavano il vecchio ordine radicato nell’assolutismo, caratterizzato da una visione gerarchica della società pregna di valori arcaici e ingiustizie sociali.

Alle origini della Sinfonia Bonaparte

La prima esecuzione avvenne in un salotto privato nel palazzo del principe Lobkowitz nell’estate del 1804. Era presente anche il suo maestro Franz Joseph Haydn il quale comprese che con quella sinfonia la musica diventava non solo poesia, ma arma ideologica. L’allegro con brio del primo movimento, gli accordi potenti, l’esposizione del tema prima dai violoncelli, poi da fiati, e infine da tutta l’orchestra che vive, e canta. L’oboe intona un malinconico secondo tema. Forse un attimo di sogno in mezzo alla battaglia? L’orchestra dialoga, si muove, leggera nei fiati e grandiosa negli ottoni. Si raduna tutta insieme per la carica di cavalleria: la battaglia è vinta. La marcia funebre ma al contempo “eroica” del secondo movimento, adagio assai, ci indica che la gloria umana non è nulla di fronte alla potenza della morte.

La vita e la morte

Questo pensiero fatale da tragedia greca l’attanaglia, tranne che nella sezione centrale. Nella disperazione, nella paura di morire, Beethoven ci mette la speranza: una dolce e solenne partitura in maggiore dove si intravede il Paradiso. Non a caso il papa emerito Benedetto XVI amava tanto questa sinfonia, tanto da esclamare: “La grande musica è sempre riflessione sulla vita e sulla morte”. Quindi, dopo lo sconforto, abbiamo lo scherzo, allegro vivace, del terzo movimento; prima la morte, ora la vita. C’è gioia, c’è eroismo. I corni nel trio fanno degli squilli acuti al limite del suonabile.

L’ascoltatore torna gioioso e si prepara al movimento finale, allegro molto, che colpisce in modo particolare, perché è quasi un invito di Beethoven stesso ad essere veri eroi nel mondo, dandoci questa missione: quella di fare i cavalieri per migliorare la vita di tutti. Il commovente tema cantato dal flauto lo troviamo in tutto il movimento, ma è alla fine che succede il fantastico: non si capisce esattamente cosa accada, tanta è la magia, ma dopo una calma riflessione dei fiati l’orchestra esplode velocissima, un finale mai ascoltato prima nella storia della musica, che anticipa vistosamente il finale della Nona Sinfonia. Un cristallo che si frantuma? Le trombe celesti? La gloria divina? Un trionfo amoroso? Non si può dire, da quanto è indescrivibile il finale. Puro incanto.

Il tradimento di Napoleone

Come Napoleone ribaltò lo scacchiere politico europeo e mise in crisi equilibri e forme di potere consolidati ormai da secoli, così la Sinfonia n. 3 segnò un momento di rottura nella storia dell’arte musicale. Dopo quest’opera, la musica sarebbe stata pensata in nuove forme, si sarebbe mossa su orizzonti più ampi e si sarebbe relazionata con la storia in altri termini. Nel frattempo il 18 maggio 1804 Napoleone si incoronò Imperatore dei Francesi e Beethoven si sentì tradito: il repubblicanesimo del compositore considerò la fine di quegli ideali della Rivoluzione Francese che Napoleone aveva inizialmente dato l’impressione di voler difendere. Quando l’opera fu data alle stampe nel 1806, l’autore, con un vero e proprio atto politico, cancellò il nome di Bonaparte considerato ormai un tiranno, strappando il frontespizio, per sostituirlo con un titolo dedicatorio apparentemente più generico:

Sinfonia eroica, composta per festeggiare il sovvenire di un grand’uomo.

Beethoven, il genio che dialogò al futuro

Sovvenire? Nel 1806 Napoleone era nel pieno delle vittorie, aveva appena compiuto il suo più grande capolavoro militare nella battaglia di Austerlitz, e Beethoven parlava ormai di lui al passato. Celebrava la memoria di un grand’uomo senza nemmeno nominarlo, quasi che si trattasse di un defunto. Era come se il Bonaparte, cui aveva pensato di dedicare la sua sinfonia, fosse diventato un’altra persona. Questo passo indietro nella storia della musica non ha precedenti. Chi mai si sarebbe privato dei favori dei potenti? Solo un uomo, un artista il cui principio etico fondamentale era la lotta contro la tirannide per la conquista della libertà.

Tema purtroppo attuale nella nostra Europa in fiamme. Solo un genio, che rapito dall’Inno alla gioia di Friedrich Schiller, avrebbe composto l’ultima sua sinfonia, la nona, con il celestiale coro che intona versi universali di pace: “Gioia, bella scintilla divina, figlia dell’Elisio, tutti gli uomini diventano fratelli, dove posa la tua ala soave“. È proprio quella nuova dedica, monito speranzoso, che colpisce tanto. È Beethoven in persona che si aspetta qualcosa da noi delle generazioni future, aspetta un eroe che salvi l’umanità.

In questa epoca nichilista, di un eroe che sia d’esempio a tutti ne abbiamo veramente bisogno. E lo stiamo ancora aspettando.

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