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La battaglia di Wembley
L’editoriale di Roberto De Frede
Gli inglesi, i maestri del calcio, nel loro sacro tempio verde di Wembley, si sono dovuti inchinare regalmente ai leoni azzurri, ai campioni d’Europa, dopo una lunga battaglia durata sino alla straordinaria e decisiva parata del rigore di Gigio Donnarumma, degno erede delle leggende di Zoff e Buffon. La tenacia, il coraggio, il caldo e passionale cuore italico hanno battuto e domato il freddo acciaio inglese delle scogliere di Dover. Il muro biancorosso dei settantamila britannici incitando e cantando il God Save the Queen, nulla ha potuto: non esiste circostanza, né destino, né fato che possa ostacolare la ferma risolutezza di un animo determinato come quello dei ragazzi di Mancini.
Italia, una stoica e storica vittoria
Un’Italia fresca e giovane come quella del ’78, un gruppo granitico fatto di rispetto e amicizia, come quello dell’82, ha conquistato il successo e la gloria con la costante e ostinata voglia di vincere, forza motrice più forte del vapore, dell’elettricità e dell’energia atomica. Un Europeo perfetto, sette partite, sette sigilli vincenti. La perla finale, quella di ieri sera – 11 luglio, data karmica per il nostro calcio – ha permesso di poggiare i piedi sul tetto del continente più vecchio, mostrando con orgoglio al mondo intero il meritato trofeo, la luccicante coppa d’argento, alzata dal monumentale capitan Chiellini, illuminando il plumbeo e piovoso cielo di Londra. L’armata azzurra è stata protagonista di un’impresa riuscita solo due millenni or sono ai Romani, conquistare la Britannia. La Grande y Felicisima Armada di Filippo II, l’impero di Napoleone e la micidiale Luftwaffe, nel corso dei secoli hanno tentato di espugnare l’isola rocciosa, ma la sconfitta è stata sempre dalla loro parte. Così come quella di Giulio Cesare e poi di Adriano, così sarà quella azzurra, vera reale gloria, non fittizia, in quanto sopravviverà nella Storia, non in una storia.
Questa eroica vittoria non dà adito all’alternativa pasoliniana: ha fatto battere sia le mani che i cuori! La finale di ieri sera è una storia di calcio, fatta di pianti e risate, pene ed esaltazioni. Come la vita. E l’emozione è parte imprescindibile. Donnarumma si lancia verso la vittoria alla sua sinistra, urlando a Saka che l’Italia è campione; ma lui resta per un istante interdetto, forse pensava di dover continuare a parare rigori per tutta la notte. Invece era la fine, quella agognata fine che era parsa a lungo così lontana, da prendere essa pure, come la vittoria, forma di un miraggio. Si sono guardati, allora, un attimo gli azzurri – e con essi tutta l’Italia – fermi, trasognati, assenti, come se la piena dei sentimenti fosse talmente grande da non permettere di muoversi. Un attimo, il respiro si è fermato per un frammento fuggente e quasi imprendibile alle umane percezioni, come se la gioia avesse fulminato tutti. Poi, l’entusiasmo e il giubilo hanno avuto libero sfogo.
Grazie, Azzurri, per un sospeso attimo di romantica felicità
Braccia in alto, grida che non trovano modo di uscire dalla gola, ricerca delle persone con cui si sono divise fatiche, privazioni, ansie, emozioni. Sul campo si è in parecchi a piangere. Non è debolezza per nessuno, nemmeno per l’atleta dal fisico sfinito e dal viso affranto dalla fatica, il dare alla propria soddisfazione quella meravigliosa forma intima che è la commozione. Gianluca Vialli e Roberto Mancini si abbracciano: in quel gesto vi è l’Italia intera, che piange di gioia e sente nel cuore più vicino chi è lontano. Tutto rimane sospeso. Il tempo, il respiro, la memoria: niente si esaurisce, niente si desidera: tutti i desideri sono aboliti perché sembrano essere definitivamente appagati in quell’atto spontaneo e sincero. L’Italia è campione d’Europa, dopo oltre mezzo secolo.
Grazie cari e bravi ragazzi, tutti per uno e uno per tutti. Il vostro sorriso schietto e fiero, la maglia azzurra profumata di leale e vittoriosa tenzone, rimarranno fissi e indelebili nella mente di ognuno di noi. Grazie agli artisti azzurri. Sì, artisti, in quanto il calcio è emozione pura, arte. Con l’amore e con il romanticismo d’un tempo siete riusciti a farci comprendere cosa si prova davvero quando si ha quella palla tra i piedi, tra sogno e realtà. Da sport, il calcio diventa arte, che vive e si permea in ognuno di noi, in grandi similitudini della vita, perché ognuno di noi, pari al rettangolo di gioco, non solo ha un ruolo ben definito, ma ha il diritto di vivere sognando. Il calcio è l’arte dell’imprevisto, e dove meno te l’aspetti salta fuori l’impossibile: a Wembley, contro l’Inghilterra, prendi gol dopo due minuti e diventi campione d’Europa, combattendo da prode soldato, con un unico obiettivo: la gloria, che mai nessuno potrà cancellare. Da ieri sera, 11 luglio, tutti noi, abbiamo nel nostro bagaglio personale, un’altra storia da raccontare, un altro mito azzurro, per sognare insieme: un momento eterno di felicità.