Cinema e Teatro
La Barbie di oggi è tutto quello che la perfezione non voleva che fosse
Non un semplice film sulla famosa bambola Mattel
Barbie non è la celebrazione della bambola Mattel
Barbie di Greta Gerwig non è un semplice film che racconta la storia dell’arcinota bambola Mattel. É molto, molto di più. La Gerwig era già la regista di film che hanno visto al centro la figura della donna: ricordiamo Lady Bird (2017) ma anche Piccole donne (2019). Se però prima parlavamo di filo rosso che legava le sue pellicole, ora il filo è diventato rosa shocking e rosa è il colore di tutti.
Mai prima d’ora avevamo visto una Barbie così dannatamente plastica diventare fragilmente umana. O meglio: tutto questo non era mai accaduto ma Greta, insieme ad una magistrale Margot Robbie, ha reso possibile tutto ciò.
Un viaggio fuori da Barbieland ma dentro il Mondo Reale
Barbie comincia la sua avventura nella sua casa rosa e nel suo proverbiale mondo, Barbieland, dove tutto è perfetto e niente è fuori posto. Qui tutte le Barbie hanno un ruolo predefinito: essere per definizione impeccabili. A raggiungere l’apice della plasticità più lontana dal reale è proprio Margot Robbie nei panni di un’emblematica Barbie Stereotipo. Nessun compito le spetta quotidianamente se non uno: essere perfetta. Sempre.
Siamo di fronte ad un mondo che affonda le radici e il suo senso nell’apparenza, una finzione che facilmente crolla di fronte ai ricordi o alla morte, sentimenti che abitano il Mondo Reale. La prima a riflettere è proprio la più risolta delle Barbie e quando questo succede, niente è più così impeccabile come sembrava. I piedi che diventano piatti, la cellulite che appare all’improvviso, le crisi di pianto: una continua metafora e quella che sembra essere la morte apparente di Barbie non è altro che l’inizio di un travagliato percorso alla scoperta di se stessi, dalla bambola alla donna.
Mito e realtà: la fragilità della perfezione
Il primo impatto è un vero e proprio shock. Arrivata da Barbieland, quello che il Mondo Reale riserva a Barbie è senso di inadeguatezza, incompatibilità. Una catabasi nel mondo delle scomode verità dove per la prima volta Barbie piange vedendosi derisa, si spaventa di fronte agli sguardi languidi degli uomini e soprattutto prova paura. “É l’ansia“, del mondo reale.
Ancora lontana dall’essere umana, per la prima volta la bambola si imbatte e si scontra nella complessità dell’esistenza, nelle emozioni, nel mutamento. Non manca ovviamente il classico tentativo di fuga di fronte all’ignoto, di esasperata ricerca di un rifugio fatto di sicurezze fittizie.
L’ampio respiro di Barbie che evade il femminismo spicciolo
Se facile è trarre le conclusioni della metamorfosi inumano-umano, meno facile è non porsi il limite che la storia di una bambola dialoghi col solo mondo femminile. Barbie è anzi il mezzo, il ponte che mette in comunicazione il mondo femminile con il mondo maschile. Avventuriera, astronauta, giornalista: a ben pensarci, chi se non le più celebri bambole Mattel hanno permesso di sognare, sin da piccoli, un futuro possibile. Insegnare a sognare di essere ciò che ci si sente di essere, senza dover mai frenare la fantasia.
Certo era molto più facile a Barbieland, dove ogni piccola bambola deteneva a priori questo potere senza doverselo conquistare, ma tutto cambia proprio qui, e lì, nel Mondo Reale.
“É un mondo tutto al contrario“.
E sempre qui si annida il guizzo, il colpo di coda di Barbie, di Greta: fugare il rischio di ascrivere il discorso di Barbie al femminismo spicciolo, proverbiale lotta al patriarcato o al capitalismo. Sorprende per questo, e non sorprende al tempo stesso, che sia proprio Barbie ad incalzare Ken affinché “trovi se stesso senza di lei“.
Come se non bastasse, in questo potpourri di suggestioni, trova spazio anche il tema della salute mentale. Chi, prima dell’avvento di Barbie, si sarebbe mai immaginato che la depressione avrebbe potuto abitare il corpo di una bambola? Fondamentale in tutto ciò è la figura di Gloria, l’umana chiamata ad accompagnare Barbie in questo lungo e doloroso percorso di umanizzazione. L’ex protagonista di Ugly Betty è un personaggio sorprendentemente rivelatorio: inizialmente causa dell’arrivo nel Mondo Reale di Barbie e sul finale sua salvatrice.
La finale scoperta dell’umanità
C’è un motivo se Greta ha fatto sì che Barbie completasse la sua trasformazione solamente sul finale del film? Ovviamente, anche in questo caso, sì. É sulle note malinconiche e delicate di What Was I Made For? di Billie Eilish che l’umanità di Barbie prende forma. Un finale conquistato alla fine di un’esistenza che non ha mai avuto un didascalico inizio. Il primo, lungo respiro della bambola ospita la vita.
“Nessuno mi deve dire di essere umana, posso scoprirlo dentro di me“.
La deludente stupidità di Ken
Una nota a margine la merita però Ken, la quota maschile e quanto mai funzionale al processo di trasformazione di Barbie. Un personaggio volutamente stupido da copione esattamente come stupidi sono i vertici dell’azienda e tutti gli altri Ken in circolazione.
Forse un po’ troppo?
Emblematica la scena in cui i dirigenti tentato di catturare Barbie fermandosi però al tornello del pianoterra oltre in quale non riescono ad andare. Siamo di fronte ad un’esagerazione cercata e voluta ma che forse sminuisce lo sforzo stesso di Ken che lotta al contempo alla conquista di un suo spazio, nel film e nel mondo. Qui sta forse l’unica debolezza della pellicola: il rischio che la stupidità eccessiva di Ken vanifichi il senso stesso del film. Forse non è però un caso nemmeno questo alla luce del finale che vuole il semplicistico Ken ancora alla ricerca della sua umanità per raggiungere Barbie nella sua umana complessità.