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Il pesce d’aprile: viaggio alle origini dello scherzo
Viaggio alle origini della leggenda del “pesce d’aprile”: dall’Antico Egitto al più brutale scherzo di Orson Welles
A scuola, quella elementare e media, tempo fa si ripeteva automaticamente ogni anno in questo giorno, primo d’aprile, uno scherzo, una burla. Modellare un cassino a forma di pesce, cancellare tanto gesso dalla lavagna da impregnarlo bene di polvere, e lanciarlo alle spalle di un compagno, così da timbrargli sul maglione, canzonandolo, un bel pesce bianco. È difficile trovare nel campo delle tradizioni popolari un uso, la cui origine sia tanto oscura e controversa quanto questa del pesce d’aprile.
Alle origini del pesce d’aprile
Francesi, inglesi, tedeschi, italiani l’hanno cercata chi in un fatto e chi in un altro; ma tutti, o quasi tutti, dopo varie ipotesi hanno dovuto modestamente dichiarare che alla fin fine non v’è nulla di certo su questo punto. La burla del pesce d’aprile è sì un gioco, ma anche un’arte, e spesso compaiono insieme. Quando si pensa a libertà e creatività, rappresentazione e interpretazione, esperienza e formazione, svago e intrattenimento, ritualità e socializzazione, accade che i nomi del gioco e dell’arte, e di poesia, musica, pittura, letteratura – siano pronunciati insieme. L’esperienza del gioco richiama l’esperienza dell’arte e della vita stessa
“Le joujou est la première initiation de l’enfant à l’art“, scriveva Baudelaire; l’esperienza dell’arte richiama l’esperienza del gioco e dell’esistenza: “l’arte, per gli artisti, è il più delizioso dei giochi“, così Buzzati.
Proprio l’inesauribilità della materia e insieme la ricchezza delle ricerche condotte, tra critica e filosofia, storia e sociologia, etologia e antropologia, possono forse giustificare il mio modesto tentativo di appuntare alcune riflessioni.
L’inganno ai pescatori: la teoria di Giovanni Pitrè
Grandi filologi ed eruditi hanno provato a dare delle risposte, uno fra tutti Giovanni Pitrè, il quale nella sua opera Archivio per lo studio di tradizioni popolari, affermava:
“Per alcuni studiosi il tutto ha origine da un inganno nei confronti dei pescatori, nel mese d’aprile, uno dei mesi in cui era vietato pescare, per favorire la naturale riproduzione dei pesci di fiume. Dei simpaticoni, di certo non pescatori, buttarono così delle acciughe affumicate nel fiume, schernendo i pescatori con la frase ‘ecco i pesci d’aprile!”’. Altri sostengono, più in generale, che l’usanza derivi semplicemente dalle prime pesche primaverili che un tempo si facevano all’inizio di aprile quando i pescatori molto spesso ritornavano a riva e con le reti vuote, tra gli sfottò dei compaesani.
La gara di pesca tra Marco Antonio e Cleopatra nell’Antico Egitto
Andando molto più indietro nel tempo, precisamente nel 40 a.C., troviamo nientemeno che il triumviro Marco Antonio, in Egitto, fu sfidato da Cleopatra in una gara di pesca. Per essere certo di vincere, egli incaricò un servo di attaccare all’amo il pesce più grande che si potesse trovare. Cleopatra, scoperto il piano, ordinò che al suo amo ne fosse appeso uno finto, enorme e avvolto da pelle di coccodrillo. Fu così che Marco Antonio divenne il vero beffeggiato e da questo fatto, secondo alcuni, sarebbe nata l’usanza del pesce d’Aprile.
Fleury de Belligen: poisson in luogo di passion?
Fleury de Bellingen, professore di francese vissuto in Olanda alla metà del seicento, ci vide un’allusione ad un antichissimo uso degli Ebrei. Quello di mandare per disprezzo una persona di qua e di là, come fecero con Gesù Cristo, da Pilato a Erode prima di essere condannato e, dopo l’arresto, da Anna a Caifa, i due sommi sacerdoti che ne chiesero, proprio a Pilato, la condanna a morte, nei primi di aprile, secondo i computi degli ecclesiastici.
Al quale proposito si ricorda che nel Belgio si disapprovava chi mandava ‘a far portare il mese d’aprile‘, cioè chi affidava una incombenza impossibile, appunto perché non sarebbe stato lecito ripetere in chicchessia quel che fu eseguito da Gesù. Secondo alcuni pertanto la voce poisson sarebbe una corruzione di passion. Altri vi scoprirono un fatto meramente mitologico, altri uno scandaloso significato fallico, altri, più delicatamente, un passaggio ad un uso di mandare o di offrire alle donne un pesce con intendimento erotico, altri ancora una inclinazione dello spirito umano allo scherzo, nel ritorno della grata stagione.
La spina di pesce nella gola del Papa: la leggenda friulana sul pesce d’aprile
Meno nota e meno discussa tra tante origini è quella assegnata da un poeta friulano del secolo XVII in una leggenda rimasta manoscritta fino alla fine dell’800. La leggenda che Rumtot, al secolo Gaspare Carabello, – poeta appartenente alla cosiddetta “Brigata udinese” formata dall’allegro gruppo di giovani, che per primi, nella storia della letteratura friulana, costituirono una corrente allo scopo di valorizzare il friulano alla pari, si badi bene, del latino e del toscano – lasciò sul pesce d’aprile nel Friuli è così diversa dalle altre che merita d’essere qui raccontata.
Il decreto papale: il divieto di mangiar pesce il primo d’aprile
“Il patriarca Bertrando, che è il vero mito del Friuli antico, aveva invitato un anno a pranzo il papa per il giorno di Pasqua. Ma il papa nel giorno di Pasqua aveva da recarsi in Francia per battezzar la figlia del Re, e fece dire al Beato Bertrando che sarebbe venuto prima. Arrivò per combinazione proprio il primo d’ Aprile; ma in quel giorno era di Venerdì di quaresima e il pranzo dovette esser di magro. Si fece gran consumo di trote del Natisone e di anguille maranesi; ma disgrazia volle che al papa, nel mangiare un magnifico pesce, si infiggesse nella gola una spina. Nessuno gliela poteva levare, e dovette mettersi a letto. Si addormentò, e fu già un miracolo, e nel domani, svegliatosi, trovò (e questo fu un miracolo ben maggiore) la spina sopra un bacile. Grato e riconoscente, egli promulgò un decreto, col quale comandava che in tutto il patriarcato d’Aquileia non si mangiasse mai pesce il primo d’ Aprile, neanche se fosse Venerdì Santo, e il Patriarca Bertrando regalò la spina, colla quale s’era avverato un portento, alla chiesa della sua fedele Venzone, dove si conservava ancora in un reliquiario di gran valore“.
Rumtot finisce dicendo che “da tal fatto della spina è venuta la costumanza del pesce d’avril. Dapprincipio imbandire un pesce era un’offesa, poi diventò burla, perché cadendo il primo d’aprile una vigilia, si davano ai cibi di grasso la forma e l’apparenza di un pesce“.Di fronte a queste diverse opinioni è bravo chi riesce a farsi un’idea chiara della origine vera o almeno probabile del mistico e mitico pesce.
L’origine francese a partire dal duca di Lorena
A questo punto presentiamo l’origine francese. Francesco duca di Lorena, caduto in disgrazia di Luigi XIII, fu chiuso nel castello di Nancy. Quivi sarebbe rimasto chi sa quanto, se un giorno con sottile trovata di false notizie non avesse ingannato le guardie e preso la fuga passando a nuoto la Meurthe. Il che fece dire ai Lorenesi che ai Francesi era stato dato a custodire un pesce. Il fatto avvenne il primo aprile, secondo il Narratore di Breslavia che lo racconta un po’ distesamente per l’anno 1634.
Ahimè anche questa del duca di Lorena ha il suo lato debole nella storia! In una farsa francese del Cinquecento, un personaggio, tale Le Clerch, dice che “Macquereau c’est poysson d’avril“, e già prima, in un’altra del 1508, un buon curato che si divertiva a scrivere cose drammatiche, aveva detto: “Viens ça le chief des ruffyens/ Houlier, putier, maquereau (lo sgombro!) infâme, / De maint homme et de mainte fame / Poisson d’avril vien tost a moy”.
Maquereau e poisson d’avril
Questo significa che il modo di dire precede la nuotata del duca. Ma lo precede esso nel significato attuale? Raoul Rosières, storico transalpino, prendendo le mosse dall’antica locuzione Poisson de Caresme, relativa all’aringa, companatico penoso ed insopportabile, prolungato per i quaranta giorni di Quaresima, ha concluso che la comparsa d’un altro pesce, lo sgombro, sulla fine di marzo, dava luogo ad una mistificazione, che coincideva proprio ai primi di aprile. L’identificazione di maquereau e di poisson d’avril per lui è provata anche con un passo d’Henri Estienne del 1578: “[..] e alla burla tra gli stanchi del pessimo pesce di penitenza si sarebbe agevolmente prestato la comparsa vera o presunta, annunziata anche per canzonatura di qualche ingenuo, del maquereau, pesce d’Aprile in piena regola”. Si faccia di questa interpretazione il conto che si vuole, resta luminosamente dimostrato che del poisson d’Avril si hanno testimonianze anteriori al regno di Luigi XIII, e, come abbiamo visto, alla prima metà del secolo XVI in Francia, donde esso sarebbe passato in Germania, in Inghilterra e nel resto d’ Europa.
La possibile origine del pesce d’aprile di Ludovico Passarini
Tra i forti dubbi che sono stati posti intorno alla probabilità di origine dell’usanza medesima, Ludovico Passarini, bibliofilo e studioso di folclore, che nella ricerca dei modi di dire proverbiali ha consumato molta parte della sua vita, c’induce a pensare che, in mancanza d’una origine accettabile, giovi crearne una possibile. E questa origine egli la crea di suo, ritenendo “che lo scherzo ed il motto siano nati in luogo e paese di mare dove la pesca fosse l’esercizio e l’industria degli abitanti“. Molti, ma molti dettati e proverbi popolari sono derivati da novelle antichissime, tanto in uso una volta a rallegrare le veglie e i lieti ragionamenti.
Il racconto “favoleggiato” d’un paese marittimo
“Io mi penso – egli dice – che il Pesce d’Aprile sia derivato appunto da un qualche racconto favoleggiato in paese marittimo, non solo a dilettare, ma forse anche a dileggiare i bonaccioni abitatori del colle vicino. E la sostanza della novella può essere stata press’a poco così: Che alcuni di questi venuti al lido, il giorno primo di Aprile, ed appiccato discorso coi pescatori oziosi in quel dì, ebbero il desiderio di pescare anch’ essi, lusingati, chi sa con quante belle parole, che avrebbero fatto una grossa pesca, e tanto più abbondante quanto più la barca pescareccia fosse spinta lontano, ove sono alte le acque. Si, sì, andiamo, dissero quei del colle; basta che qualcuno di voi ci faccia compagnia a guida più sicura della barca. Dato de’ remi in acqua, andarono lontano lontano, finché i pescatori-novellini gettarono la rete: e gira e rigira il docile legno sovra le chete acque, dopo alquanto tempo sollevano speranzosi la rete: ma la sentono leggiera, e giù la riaffondano; il che fatto e rifatto più volte, e rimasta sempre la speranza delusa; e visto che il sole declinava all’occaso, stanchi e rotti dalla fatica, e straniati dalla stizza, ritrassero la rete, la quale non aveva saputo raccogliere neppure un misero pesciolino. I creduli pescatori più lentamente che nell’ andare ritornarono al lido confusi, e come ognuno può credere, burlati e derisi. Seppero essi poi, che nell’ Aprile, al sopravvenire della tepida e vaga stagione, anche i pesci ne godono, e si raccolgono facendo groppo insieme giù nell’ imo fondo delle acque, ove depongono le ova, secondo che loro insegna l’istinto“.
La novella piacque allora e fu ripetuta di casa in casa, e corse da paese a paese, al pari delle altre novelluzze e la burla dei pescatori divenne proverbiale, prendendo il nome di Pesce d’ Aprile. Rammentato ogni anno nel ridetto giorno lo scherzo dei marinai, ad imitazione di loro, prima nei luoghi marittimi, e poi entro terra nelle città, e a poco a poco ovunque venne l’usanza di burlare i semplici e gli sciocchi col farli andare ora qua, ora là frettolosi a prendere (a loro insaputa!) il Pesce di Aprile. La novella andò con gli anni in dimenticanza: ma il motto e l’usanza ha sfidato i secoli, e dura ancora. Questa origine del Pesce d’Aprile, sarà detta probabilmente una fandonia – esclamò in un convegno il Passarini -, ma al contempo dichiarò di non affliggersene più di tanto, purché altri giungessero a trovare l’origine vera.
Il pesce d’aprile di Orson Welles nel 1938
Ciò che è vero è che le burle fatte ai creduloni ed agli sciocchi, cui si fa sapientemente passar per vero ciò che non lo è, sono sempre esistite sin dalla notte dei tempi. Scherzi propinati ad amici, a nemici, familiari o addirittura a nazioni intere! Lo testimonia quanto avvenne nel 1938 negli Stati Uniti quando Orson Welles – il famoso regista che, allora, aveva solo ventitré anni – progettò di mandare in onda, il primo aprile di quell’anno, durante un seguitissimo programma radiofonico che proponeva letture tratte da romanzi celebri, un adattamento radiofonico de “La guerra dei mondi” di Herbert George Wells.
A causa di problemi tecnici, però, la lettura prescelta poté andare in onda solo il 30 ottobre successivo. Dai microfoni della radio, il giovane Welles lesse con voce ferma, realistica, inquietante tanto da farlo apparire reale, il brano che parlava dell’occupazione degli Stati Uniti da parte dei marziani, appena sbarcati dalle loro astronavi. Il panico generale fu immediato. I centralini telefonici della polizia e quelli dei quotidiani furono intasati dalle telefonate di cittadini, molti dei quali affermavano di aver visto gli extraterrestri segnalati dalla trasmissione.
Il caos prese il sopravvento e la popolazione angosciata, munendosi anche di maschere antigas, abbandonò le case e le strade, riempì le chiese dove pregando si mise ad aspettare la fine. La radio, con Welles, aveva avuto la capacità di trasformare la lettura, finzione letteraria, in una realtà verosimile e da incubo prendendosi gioco di una intera popolazione, come quei novelli pescatori alla ricerca di una buona pesca grossa.
L’inno alla gioia, abbiate cura di ridere
Se questa burla antropologica del primo giorno d’aprile esiste da sempre, qualunque sia l’origine o più d’una, allora aveva ragione l’autore dell’Inno alla gioia quando scriveva che l’uomo è veramente uomo soltanto quando gioca. Del resto, ne I vecchi e i giovani, Pirandello ci insegna che bisogna vivere, cioè illudersi; lasciar giocare in noi il demoniaccio beffardo, finché non si sarà stancato. £ pensare che tutto questo passerà. Quindi cari ragazzini delle scuole elementari e medie, forgiate ancora quel cassino a mo’ di pesce, e lanciatelo dietro al vostro compagno, burlatevi di lui, per scherzo s’intende, per ridere. Ridere è il modo migliore per conoscersi: siate i prosecutori della storia, vivete!