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MUSICA

Il Concerto di Capodanno, i valzer e un sogno: 7, o quasi, modi per innamorarsi Sul bel Danubio blu

Quello vero e fatato, quello dei valzer di Strauss, quello della Filarmonica di Vienna

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Quello vero e fatato, quello dei valzer di Strauss, quello della Filarmonica di Vienna

Ogni anno, sin dal 1939, non inizia gennaio in armonia, se non si ascolta l’augurio che il direttore dell’Orchestra Filarmonica di Vienna pronuncia dal podio della Goldener Saal del Musikverein, esclamando con voce soave: “Die Wiener Philharmoniker und ich wünschen ihnen Prosit Neujahr!”, prima di chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle note leggere del valzer più famoso del pianeta, Sul bel Danubio blu. Si racconta che Brahms, amico personale di Strauss, dedicatario dello splendido Seid Umschlungen, Millionen!, leggendo lo spartito del bel Danubio blu, sotto ad alcune note, vi aggiunse con simpatico rammarico: “Purtroppo, non di Johannes Brahms“. La sua melodia rimanda a scenari fiabeschi, stanze barocche, atmosfere che probabilmente esistevano solo nelle sale da ballo della Vienna ottocentesca.

Lo scandaloso valzer: storiche volteggiate verso una nuova libertà

Ed è in quel momento, in quell’auspicio magico, che sembra tutto dolcemente alleggerito, anche l’ansia dei 12 mesi a venire. In questi giorni fatati di fine anno le favole diventano realtà e la realtà diventa una favola. Il Concerto di Capodanno, senza alcun dubbio, rientra di diritto in questo limbo fantastico. Il valzer (dal tedesco walzen, “girare”), il ballo dell’abbraccio scandaloso e ardente di felicità, venne inizialmente considerato audace e immorale, per le sue origini umili e rurali, erede del folclore tirolese, finché l’alta società non ne fece un simbolo di distinzione e di eleganza senza pari. All’inizio dell’Ottocento suscitò grande entusiasmo tra i più giovani. In certo qual modo era l’espressione perfetta di un nuovo mondo che si era lasciato alle spalle i costumi aristocratici per affidarsi alla nascente borghesia. Il valzer, a differenza dei movimenti studiati del minuetto, era un ballo di coppia che permetteva alle persone di stringersi l’un l’altra apertamente e sperimentare a ogni nuovo e vertiginoso giro una sensazione di libertà assoluta, guardandosi negli occhi sorridenti e innamorati. Goethe ne diede un’efficace descrizione in una scena dei Dolori del giovane Werther (1774), dove il protagonista racconta di una serata iniziata con dei minuetti: “Venne poi il momento del valzer, le coppie iniziarono a volteggiare come sfere celesti le une attorno alle altre […] Non mi sono mai sentito così sciolto, leggero: non ero più nemmeno un uomo. Avere tra le mie braccia la più adorabile delle creature, farsi travolgere con lei in un turbine, svelti come la saetta, e non percepire più nulla intorno a sé…”.

La Wiener Philharmoniker sfrattata da Rai1 per la rinascita de La Fenice di Venezia

I telespettatori ne hanno potuto godere la diretta televisiva su Rai 1 dal lontano Capodanno del 1959 a quello del 2003, dopo la preghiera mariana dell’Angelus di mezzogiorno recitata dal Santo Padre. Dal 2004 purtroppo è stato immotivatamente degradato e mandato in onda in differita su Rai 2, a tavola rotta. Bisognerebbe avere rispetto per le tradizioni, e soprattutto comprendere il motivo per il quale per 44 anni sia andata in un certo modo, e anche molto bene, e farne tesoro. La causa del passaggio di consegne, a mio giudizio, fu un esagerato e inutile atto campanilistico a favore del concerto trasmesso dal teatro La Fenice di Venezia, nato come evento straordinario (per la sua rinascita dopo l’incendio doloso del 1996), e divenuto invece appuntamento ordinario. Non discuto la qualità artistica e la bellezza veneziana, ma l’atmosfera che si respira, a cominciare dalle scelte dei brani musicali, non rientra in quella incantata costruita dai Wiener Philharmoniker. Cosa c’entra con l’augurio per il nuovo anno, ad esempio, l’aria Che gelida manina dalla Bohème di Puccini o il coro del Nabucco di Verdi cantato dagli Ebrei prigionieri in Babilonia? L’energia romantica, festosa e spensierata della Vienna imperiale, i valzer degli Strauss colorati, sfarzosi ed eleganti, erano e rimarranno augùri preziosi per gli spettatori di tutto il mondo. Entrano dolcemente nel loro animo, accompagnandoli per mano ad uno ad uno verso un anno fatto di desideri e di sogni.

Se una notte d’inverno un viaggiatore

Vi dirò di più. Ieri notte il pensiero viaggiava nel sonno, sognando… Osservavo dal finestrino dell’apparecchio il buio senza fine, ero sopra le nuvole. A tarda sera, ad 8mila metri, un tale accanto a me in aereo mi confidò, forse per stemperare la tensione del volo, che due volte solamente nella vita era entrato in crisi. Due volte sono poche, ma era ancora giovane, nonostante i suoi modi intellettuali e dei grossi baffi. La prima fu quando dovette dire “Ti amo” alla ragazza amata, perché non aveva saputo trovare di meglio per esprimersi (ma, se non mi mentiva, si era espresso benissimo, perché al “Ti a…” fu già ricompensato dalla ragazza entusiasta, che non gli rassomigliava quanto a timidezza). La seconda, quando aveva dovuto ammirare insieme ad una folla, in viaggio, una stellata sopra un bosco, e s’era accorto che come a lui, proprio allo stesso modo, piaceva a tutti: tanto che gli venne anche il dubbio che in realtà una notte di stelle fosse un evento comune, e solo un po’ di suggestione la rendesse gradita ai nostri occhi. Quando atterrammo, una musica in filodiffusione inebriò l’aeroporto: era Sul bel Danubio blu che proveniva dalla Sala Dorata… Non era un appassionato di musica, infatti ignorava la famiglia Strauss, Johann il vecchio e il giovane, il magico concerto, e volle che gli spiegassi un po’ di cose. Ero io ora ad entrare in crisi, perché la musica è emozione pura, non può essere spiegata, ma il dèmone della conversazione mi afferrò e cominciai, con un pizzico di scetticismo, dicendogli che c’erano 7 modi per ascoltarlo e impararlo ad amare. 

Sette (o quasi) gesti per amare Sul bel Danubio blu

E nel tratto di pista e nell’attesa dei bagagli mi stette a sentire con molta attenzione. Primo. Distinguere i due stili: Johann Strauss padre e Johann Strauss figlio. Al loro tempo, il primo vive dal 1804 al 1849, il secondo dal ’25 al ’99, la gente già un po’ aveva capito le differenze. In un certo periodo della vita li vide dirigere insieme, e già commentava i caratteri dalle facce. Ricciuto, nero, col naso camuso e la gran bocca, sopra cui aveva fatto crescere i favoriti che s’univano alle basette, reazionario e monarchico il padre; fine di lineamenti, nobile, magnetico, rivoluzionario il figlio; pennacchio bianco entrambi, capi l’uno della banda del I Reggimento, l’altro del II, ma uniforme rossa il padre, azzurra il figlio. Ora la loro musica ci sembra abbastanza caratterizzata: appassionati e caldi entrambi, ma più rozzo ed impetuoso il padre, più raffinato e geniale il figlio. SecondoAvvertire nello stacco dei valzer, nell’audace, rapinoso e immortale zum-pa’-pa’ che prende ala, il segno stupendo d’una civiltà felice, o forse perpetuamente alla ricerca d’un’illusione di felicità. La Vienna asburgica di Ferdinando I e di Francesco Giuseppe I; la Vienna dei caffè dove Beethoven rideva ad alta voce qualche volta, e dove Brahms s’addormentava lieto con la testa alla finestra; la Vienna delle osterie con pergolato dove Schubert faceva musica con gli amici; la Vienna dalle grandi torte con le fragole e i mirtilli, con le donne raffinate e bellissime (o che sapevano parere tali); la Vienna dell’amministrazione saggia che del raro fasto faceva un ordine ed una tradizione; la Vienna delle  taverne  e  birrerie all’aperto e lungo  le  sponde del Danubio; la Vienna che ancor oggi prenota un anno prima il Concerto di Capodanno, con le musiche della famiglia Strauss, che ci trasportano verso mondi cui dubitavano della loro esistenza. 

Terzo. Fare bene attenzione all’orchestra, agli strumenti luccicanti e a volte curiosi e rari, e ai direttori. Tutti immensi ed unici, dal leggendario Willi Boskovsky, il quale amava suonare il violino mentre dirigeva, a Lorin Maazel, Herbert von Karajan, Claudio Abbado, Carlos Kleiber, Zubin Mehta, Riccardo Muti, per citare quelli a me più cari. Amico mio, mentre ti parlo, presta il tuo orecchio alle meraviglie del Danubio blu: leggero e seducente, quasi in apparenza motivo troppo semplice, che ogni organetto avrebbe subito potuto riprendere ed ognuno fischiettare (chi, di noi, non l’ha fatto qualche volta almeno, se sa fischiettare?), che si distende in evocazioni tenere e sensuali, in saggi dialoghi d’archi e fiati, in brividi di nostalgia, subito risospinti nell’energia gioiosa del far musica, pura espressione di buonumore, di voglia di vivere, di fare festa. Quarto. Pensare a Parigi che osteggiò il valzer degli Strauss, perché abituata al suo valzer più lento, considerando la differenza fra un valzer-musette da una parte e dall’altra il Valzer dell’Imperatore. Pensare alla Germania, che se la prese con Johann padre per aver egli dedicato una marcia al feldmaresciallo Radetzky, incautamente. Pensare all’Italia del nord dove tutto ciò che sapeva d’austriaco due secoli fa era – a giusta ragione – osteggiato, e il clima era tale che i bei soldati in divisa parevano “fantocci esotici di legno”, persino ai poeti dal cuore tenero, come Giuseppe Giusti, che li descriveva nella sua Sant’Ambrogio. Ed invece… tutti travolti dal trionfo dei valzer degli Strauss. Come mai?

Chiudete gli occhi, ascoltate, e vi darete una risposta.

Quinto. Chiedersi come facciano a stare tanto bene assieme una così precisa educazione musicale e un’impudenza così sfacciata, nel buttare là, senza remore né timidezze, melodie galoppanti e trascinatrici. Johann figlio ci darebbe la spiegazione subito, come quella volta che, ragazzo, fu messo dal suo maestro Drexler all’organo per una funzione religiosa. Si sentì all’improvviso piovere nella chiesa le note d’un bellissimo valzer: «Scusi, maestro», disse, «avevo cominciato per costruire una fuga come Bach, ma mi è venuto fuori questo”. Ma dove sta il segreto per cui un valzer che viene fuori ha quella qualità, quel fascino? Forse perché ciò che non si può dire e ciò che non si può tacere, la musica lo esprime, e quella di Strauss esplode nei nostri animi. Sesto. Leggersi un bel libro sugli Strauss. C’è di tutto, in quelle vite. Il padre trova difficoltà a mantenere la famiglia, perché nel frattempo ha avuto cinque figli da una modista. Il figlio ha l’assoluta proibizione di imparare il mestiere di direttore d’orchestra e specialmente di quel genere. Era ormai netta la funzione diversa della musica classica e di quella leggera, anche se il valore assoluto a volte non divergeva troppo, si trattava di vivere soltanto in altri ambienti. Finché videro il piccolo Johann al pianoforte non furono preoccupati. Ma quando prese in mano il violino capirono che la sua sorte era segnata… per la nostra fortuna.

Ero al settimo indizio per far capire in modo ragionato la musica, Strauss e il fantastico clima del Concerto di Capodanno, quando il mio compagno di viaggio ebbe valigia (sulla quale vi erano incise le iniziali J. S.) e taxi, e mi fece notare che per quella sera aveva già appreso abbastanza; scomparve. Ci lasciammo: convinto, lui, che forse avrebbe allora cominciato a capire e anche ad amare Strauss; convintissimo, io, che uno che stava ad ascoltare me e non Strauss era perduto all’amore della musica. Intanto lo vidi correre a perdifiato verso la Musikvereinsplatz… Ad un tratto mi ridestai dal sonno. Così non conobbe mai il mio settimo modo, il più importante. Lo svelo a voi, è questo: dimenticare tutti gli altri sei, aprirsi alla musica ed ascoltare liberamente la magia della Filarmonica di Vienna, del Concerto di Capodanno, facendo vibrare come corde di violini la nostra emozione, la realtà più affascinante della nostra vita.

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