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Il 4 novembre: una festa mobile (che nessuno o quasi ricorda)

La storia dietro la celebrazione di una data spesso ci è sconosciuta e ci porta (colpevolmente) a ignorarne il significato

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Il titolo purtroppo non vuole ricordare il libro di memorie A Moveable Feast di Ernest Hemingway pubblicato postumo nel 1964: sarebbe stato uno studio spensierato, raccontando i lunghi soggiorni felici parigini durante gli anni Venti dello scrittore statunitense. Mi riferisco invece alle ricorrenze, chiamate “feste mobili”. Esse non hanno un giorno prefissato nel calendario, la loro data cambia giorno da un anno all’altro, in dipendenza da quella di altre festività o circostanze, di solito cadendo alla prima domenica successiva e screditando così il loro valore e significato reale. Insomma vere e proprie feste di serie B, come fossero dei soprammobili da spostare o sostituire a seconda della capienza della credenza del soggiorno.

Cosa è successo il 4 novembre 1918?

Il 4 novembre 1918 rappresenta uno dei momenti più drammatici della nostra storia, un evento fondamentale dell’Italia che non merita l’oblio delle giovani generazioni. Una pagina epica che gli italiani hanno il dovere di ricordare e rendere gli onori ai seicentocinquantamila soldati italiani che morirono per la patria. Con la vittoria nella prima guerra mondiale, l’Italia completò l’unità nazionale, iniziata con il Risorgimento e terminata con l’annessione di Trento e Trieste, tant’è che questo conflitto è considerato la quarta guerra d’indipendenza italiana, dicitura oggi quasi scomparsa.

È doveroso qui riportare il Bollettino di guerra n. 1268 del Comando Supremo, letto il 4 novembre 1918, ore 12, dal generale Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito: “La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria.

Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza”.

Tale storica data diventò celebrativa a partire dal 1919 quale Giorno dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. E due anni dopo, nel 1921, proprio in occasione del ricordo, venne sepolto solennemente il Milite Ignoto all’Altare della Patria a Roma. L’anno successivo, il 23 ottobre 1922 con il Regio decreto n. 1354, il 4 novembre divenne festa nazionale.

Perché oggi non si festeggia?

La popolarità della giornata dell’Unità d’Italia è andata poi ignobilmente scemando nel tempo, forse perché stoltamente vista soltanto come giornata “militare” e esaltazione della guerra. Negli anni Sessanta, in particolare con l’ascesa del movimento sessantottino, la festa dedicata alle Forze Armate fu oggetto di contestazioni politiche. Tanto è che dopo oltre cinquant’anni dalla sua istituzione, essa “subì” una legge che, in un clima proteso ad una certa austerità derivante dalla crisi economica degli anni Settanta, ne soppresse la caratteristica di giorno festivo. Nel 1977 la riforma del calendario delle festività nazionali realizzata con la legge n° 54 del 5 marzo trasformò il 4 novembre in “festa mobile”, degradandolo a giorno lavorativo qualunque.

Per questo oggi il 4 novembre non è segnato in rosso nei nostri calendari. In quella disposizione normativa fu “colpito” anche il 2 giugno, ma fortunatamente dopo ben ventiquattro anni di “mobilità”, nel 2001 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli riconcesse i gradi che meritava. E il 4 novembre non merita la promozione a giorno festivo come festa fissa nazionale? Si parla di unità in ogni dibattito politico-socio-culturale, la si invoca per qualsiasi problema, la si cerca in ogni manifestazione e non la si festeggia opportunamente, come si fa per il 25 aprile, 1 maggio e 2 giugno? Ormai i giorni delle zucche di Halloween, delle lanterne di Taiwan, e dell’Holi multicolorato indiano sono segnati “festivi” nelle agende di milioni di persone; e il giorno in cui l’Italia ha conquistato definitivamente l’indipendenza e l’unità lo si lascia in nero nel calendario?

Che valore ha (o dovrebbe avere) il 4 novembre?

Che la data del 4 novembre sia riscritta in rosso sul calendario, affinché non passi inosservata ai più. Che sia un giorno festivo, silenzioso, che faccia riflettere tutti. Celebriamo, uniti, una data tra le più memorabili della nostra storia; una data che ci ricorda la prova durissima sostenuta dal nostro popolo per coronare l’opera del Risorgimento, ricongiungendo alla Patria le altre terre italiane e per sempre sigillando, con il sangue di 650.000 caduti, l’indipendenza e l’unità del Paese. Eleviamo in questo giorno il nostro pensiero a quanti combatterono e si immolarono per la libertà, a tutti i nostri fratelli che sacrificarono la vita per altissimi ideali: è una schiera innumerevole e gloriosa che ci guida nel nostro cammino, sempre presente tra noi, vivente dell’esempio che ci ha trasmesso.

Da loro traiamo auspici per il futuro, nella fierezza di esserne eredi, nella consapevolezza degli ardui impegni che ci attendono. Il silenzio e la dignità, il ricordo e la preghiera, devono tuonare più forte di tutti i cannoni. Noi tutti, nell’animo più intimo, deponiamo un fiore dinanzi alle lapidi che ricordano coloro che furono assassinati. Sì, perché la guerra è assassina, per vinti e vincitori, buoni e cattivi. Rimembriamo coi nostri cuori ad uno ad uno i loro nomi, le vite assurdamente e orribilmente estinte, e ci si impegni tutti a contrastare le guerre presenti e future. Con il sacrosanto ricordo di quel giorno, silenziosamente festivo in rosso – colore che tanto rievoca le ferite dei nostri soldati – sui nostri calendari, si affermi il diritto alla vita per l’umanità intera.

Questo è l’altissimo valore del 4 novembre 1918: festeggiare per ricordare di non dimenticare mai.

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