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Drag Race Italia, oltre alle parrucche c’è di più: cosa ci ha insegnato la prima puntata

Ho visto la prima puntata di Drag Race e ho pensato che…

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Ok, è vero, bastano 45 secondi per capire che Drag Race in salsa tricolore è qualcosa di ben diverso rispetto alla versione originaria a stelle e strisce. Per chi non si trova a scoprire oggi lo show ideato da RuPaul, accorgersi della netta differenza tra i due prodotti deve essere stato fin troppo semplice. Diversità che onestamente appaiono legittime e che non costituiscono nulla di imputabile ai traduttori del format poiché trovano radici soprattutto nelle rispettive cornici cultural-tradizionali dei due Paesi che non avrebbero mai consentito, ad oggi, una declinazione maggiormente fedele del programma dedicato al racconto dell’universo drag.

Drag Race Italia: a scuola di apertura mentale

Non potendo contare su un pubblico in possesso di un background solido e consapevole circa l’arte oggetto del programma, Drag Race all’italiana ha lo svantaggio di essere investito volente o nolente di un compito pedagogico che ne condiziona obbligatoriamente la scrittura. Gli sforzi fatti per rendere il meno evidente e pesante possibile questa cifra narrativa sono evidenti, anche se non completamente ben riusciti. La causa risiede però, a modesto parere di chi scrive, nella dissonanza che purtroppo ancora risulta ampia tra le variegate tipologie di spettatore che possono trovarsi di fronte allo schermo.

Drag Race Italia non è un prodotto televisivo realizzato esclusivamente per chi non nutre stupore alcuno nell’osservare una competizione tra uomini a colpi di rossetto, parrucche e tacchi vertiginosi, ma è anche un rompighiaccio culturale. Ignorarlo sarebbe stato un errore, poiché avrebbe potuto allontanare coloro i quali si approcciano a questa sfera artistica per la prima volta e con diffidenza.

A risentirne è però così chi si immaginava un contesto coerentemente esagerato e vivace rispetto ai protagonisti in gara. Dalla scenografia, alle musiche, c’è un “make up” a tratti scarno a contornare le performance artistiche, e il racconto in generale appare affidato più ai concorrenti stessi e all’immaginazione dello spettatore che ai giudici-conduttori.

Impariamo l’arte e non mettiamola più da parte

Il trio composto da Tommaso Zorzi, Chiara Francini e Mariano Gallo (alias Priscilla) viaggia a velocità differenti, con l’ex vincitore del GF Vip che appare più a suo agio rispetto all’esperienza da opinionista dell’Isola dei Famosi e addirittura a tratti frenato nella sua voglia di lasciarsi andare alla gioia e al divertimento per far parte del cast. Siamo solo alla prima puntata, va detto, e su di lui i giudizi dall’uscita della Casa sono spesso netti ed affrettati, pertanto appare giusta la scelta di ponderare bene i toni. A tratti misteriosa la Francini, forse troppo volenterosa di mostrarsi al posto giusto per apparire naturale al 100%. Una vera scoperta Mariano Gallo, adattissimo nella veste di portavoce del movimento artistico drag. Voto 10 alla scelta dei concorrenti in gara. Spaccato perfetto, per vicende personali, approccio all’arte e carattere, per raccontare cosa si cela dietro al trucco.

Drag Race Italia mette alla prova non tanto l’abilità nazionale nel tradurre un format americano di estremo successo, ma il Paese intero, il pubblico televisivo, costretto ad elaborare i suoi canoni di accettazione del prossimo performance dopo performance. È un programma che serviva alla tv italiana, non tanto per fornire un’alternativa di intrattenimento fine a sé stesso, ma per capire dal divano a che punto di evoluzione sociale si trova l’Italia oggi. Un programma che fa comprendere che non è più funzionale, se interessa davvero che chiunque possa vivere in libertà la sensazione di abitare la propria pelle, girare la testa dall’altra parte.

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