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Chiara Ferragni non sarà a Sanremo perché è buona, ma perché è brava

Come si fa allora ad essere certi che la beneficienza sia la buona azione di una persona e non l’ottima strategia di un brand?

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Non è quasi mai Chiara Ferragni a sbagliare, ma il giornalismo

Il problema non è Chiara Ferragni, o almeno, non lo è quasi mai. Il problema non è nemmeno Chiara Ferragni a Sanremo perché da imprenditrice, quel palco se lo merita. Bazzicando dietro le quinte del giornalismo, tra un titolone e un titoletto, tra un’intervista e un post Instagram, ho constatato che non è mai stata Chiara Ferragni la vera grana. Il problema, come troppo spesso accade, è la narrazione che di Chiara si vuole restituire ai lettori. Il bug è quasi sempre il filtro giornalistico perennemente disattivato, quel perbenismo soffuso e pericoloso che aleggia nelle redazioni, piccole o grandi che siano.

C’è del romanticismo di fondo quando si scrive della Ferragni, un’incapacità reale di guardare alla verità sostanziale dei fatti. Una resistenza nei confronti di qualcosa di oggettivo pur di giustificare l’idea che si ha di una persona che altrimenti non esisterebbe, angelica e amena, estranea al peccato originale. C’è poi da dire che quei pochi che provano a remare contro, di solito, diventano invidiosi d’ufficio. Il vero guaio è l’illusione del giornalista che fa a pugni con la disillusa realtà che ha davanti, venduta però poi ai lettori nel modo in cui oggettivamente più conviene. Questo perché Chiara, anche volendo mettere in discussione la sua bontà, rimane molto brava a vendersi, la migliore e anche la prima. La Lucio Fontana dei pixel che tutti avremmo voluto essere.

Le fuck news, molto più pericolose di quelle fake

Questo è il suo merito, proprio quel merito che giustifica appieno la sua presenza sul palco dell’Ariston: è stata bravissima a vendersi in prima persona ed è bravissima ora a vendere per terzi. Questo fa di lavoro, e dire che vive e campa di visibilità non è altro se non un modo rozzo e semplicistico per farle un complimento. Attenzione però perché, come si dice, la gatta frettolosa fa gattini ciechi, e i giornalisti forse non sono da meno con i loro lettori. Troppo in fretta si clicca su pubblica con incoscienza, troppo in fretta ci si accalca sui social per svendere notizie facili, fuck news le chiama Oggiano. Fuck e non fake perché non parliamo di notizie false ma di notizie che, senza giri di parole, nascono per fottere. Notizie che tendenzialmente agitano Tizio, Caio e Selvaggia Lucarelli, ma che compiacciono ai più. E quando parliamo dei “più”, ci rivolgiamo ad un pubblico che conta oggi 28 milioni di follower solo su Instagram.

È il giornalismo a sbagliare quando si arrende di fronte all’incapacità di saper distinguere quello che la Ferragni è, come persona, e quello che la Ferragni è, come brand. Un rischio e un non-rischio che corre solamente chi fa di se stesso il proprio marchio: se guadagna in reputazione la persona, ci guadagna anche l’azienda; se perde credibilità la persona, crolla anche il brand.

Come si fa allora ad essere certi che la beneficienza sia la buona azione di una persona e non l’ottima strategia di un brand? Dov’è il giornalismo che si pone e che pone questa domanda?

Chiara Ferragni è una persona o un brand?

La risposta è che questa certezza non c’è, non ce l’ha nessun giornale, nessun giornalista e che le uniche a guadagnarci in questo confuso bug sono proprio Chiara e la Ferragni, le uniche due entità che potrebbero fare chiarezza, ma che volutamente non la fanno perché è su questo confine che hanno costruito un impero. Così, nel momento in cui viene dato annuncio del cachet del Festival di Sanremo devoluto in beneficienza, non volendo guardare la vera domanda, si sposta l’attenzione sulle risposte. Bravo chi ha applaudito, vergogna chi ha giudicato perché la beneficienza è un dogma, è cosa buona. Sempre. Punto. E non dimentichiamoci mai che “poteva anche non farla“. Se proprio si vuole, al massimo, poteva solo non dirlo.

Qui però, definitivamente, mi conquisterò l’inimicizia dei “più”: non è vero che Chiara Ferragni poteva anche non farla. O meglio ancora: avrebbe potuto certamente non devolvere il cachet, a patto però di essere disposta ad andare incontro alle polemiche. Critiche alla persona che avrebbero quindi danneggiato il brand. E nessuno di noi ha voglia di perdere il lavoro o di guadagnare meno, nemmeno la Ferragni.

La beneficienza: una strategia cinica, ma pur sempre un’opera buona

Ma chi ha fatto allora beneficienza, Chiara o la Ferragni? Abbiamo detto che questa risposta al giornalismo non interessa, ma possiamo comunque formulare ipotesi. Se è stata Chiara a devolvere il cachet, per sua magnanimità e bontà d’animo, perché devolvere proprio un cachet “piovuto” dall’alto – agli atti, ancora da guadagnarsi sul palco – e non 100mila euro racimolati dal suo conto? Magari in un giorno qualunque, una mattina a caso, senza motivo? Allora forse a fare beneficienza è stato il brand? Forse, plausibile, ma non è una risposta romantica. Così facendo dovremmo ammettere un’immagine di Chiara molto più cinica che, gomiti sul tavolo di marmo, ragiona in termini di business, di entrate, di guadagno. Un’immagine che non piace, un’immagine che non arriva dritta al cuore.

Chiara non sarà a Sanremo perché è buona, la Ferragni sarà a Sanremo perché è brava

È un peccato. Questa è stata davvero un’occasione mancata per il giornalismo per dare merito alla Ferragni della sua bravura. É stata tolta la possibilità di toccare con mano (per qualche cuoricino in più) la vera grandezza dell’imprenditrice, quella che ha la meglio sulla persona. Un’occasione mancata con ipocrisia perché senza la beneficienza la stessa romantica stampa l’avrebbe condannata come “co-conduttrice più pagata di sempre“. Quell’assegno più che un guadagno ha rischiato di essere un danno d’immagine e pure più caro. Questa è la bravura, questo è il motivo per cui Chiara Ferragni si è conquistata Sanremo, ma preferiamo comunque raccontare favole sulla bontà. Qualcuno addirittura si aspetta che sia la Ferragni a rispondere a queste domande, dimenticandosi che a prescindere dal “buona” o “brava” del titolo, a guadagnarci è comunque solo lei. Così come solo una persona ci rimette se il giornalismo sbaglia: tu.

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