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Belve: dalla periferia al centro, ma nel trasloco si è perso qualcosa

L’amaro di Belve non funziona a inizio cena in prima serata, ma gli ingredienti restano ottimi

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Belve: dall’ottima trattoria di periferia al mediocre locale in centro città

Guardando la prima puntata di Belve in prima serata, con molta sincerità, devo ammettere di esserci rimasta un po’ male. È quella delusione che si prova quando dopo anni si torna in quella trattoria un po’ decentrata, ma rinomata per la sua qualità, per mangiare un solo piatto, quel piatto. Quello cui la ricetta è nota a tutti ma come lo fanno loro no, è impossibile da replicare. Un piatto dal retrogusto un po’ amaro, decisamente non per tutti ma raffinato. Piatto che ora non c’è più e con lui è sparito pure il locale.

Si chiacchiera in sala con altri clienti e si scopre alla fine che tutte quelle recensioni positive che avevamo lasciato noi pochi “fissi” hanno montato un po’ la testa alla proprietaria. La trattoria che ricordavo ora è una catena, quasi un fast-food, e quel piatto, proprio quello che stava alla base del successo, è stato frettolosamente rivisitato da nuovi chef, riformulato per piacere di più e a tutti, pena piacere meno ai pochi. Così, a fine cena-puntata, tocca lamentarsi un po’ di tutto: del servizio lento, delle luci, della cucina mediocre, pure la proprietaria è meno autentica e simpatica e l’unica cosa che si salva è che, se non altro, il locale ora è in centro.

Dalla seconda alla prima serata, ma Belve era un amaro non un primo piatto

La domanda che mi sovviene dopo questa prima serata è una sola: il fine ultimo di trasformare l’amaro di Belve in un mediocre primo piatto è stata una scelta che mirava a soddisfare il gusto o la sola fame del pubblico? Belve in prima serata doveva essere una rivisitazione gourmet di una ricetta già vincente o, senza pregiudizio, il tentativo da parte di Rai2 di sfamare un numero solamente più alto di commensali?

La domanda sovviene perché Belve si confà di tanti ingredienti che così dosati danno come risultato un eccellente amaro, ma fa tutta la differenza del mondo decidere di farlo sorseggiare a inizio o fine cena. Gli elementi alla base sono ottimi, di prima qualità, da sempre, penso al format stesso di Belve, al graffio della Fagnani e non c’era bisogno di chiedere di più, ma l’effetto della prima serata dà proprio l’impressione che, alla luce di un bel fatturato, i giganti della cucina abbiano voluto metter le mani su una trattoria deliziosa trasformandola in una catena solo per guadagnarci un po’ di più.

Lo stesso staff e persino le stesse luci che ora però riescono ad illuminare solamente Francesca Fagnani

Così dalla periferia della seconda serata si tenta la via dell’apertura in centro, alle pareti non c’é più quella familiare giungla ma una gigantografia della Fagnani, la sola ad essere illuminata a giorno. Le luci infatti sono sempre le stesse, ereditate dalla vecchia trattoria, si perdono in quello spazio ora gigante e non convince per niente un locale così buio in piazza Navona. La sensazione è proprio quella di esser finiti a mangiare in un locale centralissimo che non ha però fatto i conti con nulla, in primis proprio con la sua storia. Una tradizione che è rimasta tale solamente guardando l’insegna.

Lode e merito al rischio di Rai2 perché d’immobilismo si muore

Per carità però, lode e merito ugualmente a Rai2, alla volontà, allo slancio vitale bergsoniano perché, se non altro, non si perirà per immobilismo. Quello stesso immobilismo che sta condannando Mediaset al coma irreversibile. Alla luce però della volontà, delle materie prime e delle capacità degli chef, non doveva (e non dovrà) essere prioritaria la quantità del prodotto ma la qualità se si vuole vincere, anche ad un più alto costo di lavorazione. Che il pubblico abbia fame di Belve è un risultato già portato a casa, ma sarebbe un vero e proprio spreco lasciare che un format così forte soddisfi la sola fame e non il gusto.

Che ci sia stata della superficialità nel trasloco periferia-centro di Belve lo si intuisce dallo stesso impiattamento frettoloso, da quel gioco di consistenze tra ospite e Fagnani non ricercato ma lasciato quasi al caso. La forza attrattiva della Fagnani fa sì che anche gli ospiti più diffidenti bussino alla porta per tastare la ricercatezza, incantanti però da una Maga Circe – citata durante l’intervista a Wanda Nara – che ora propone solo un menù fisso e si perde pure nella spiegazione complessa di ricette poco elaborate.

Confessioni notturne, imbarazzo e luci soffuse, ma la piazza è ancora viva alle 9 di sera

Si dovrebbe partire anzitutto dalla Fagnani stessa forse, svestendola della registrazione per lasciarle servire in diretta le domande, visto che la prima serata lo consente. Si dovrebbe poi magari investire di più e meglio sulle luci che ad oggi bastano solamente a illuminare le domande della conduttrice e molto poco le risposte dell’intervistato. Una luce soffusa che per come è ora l’ambiente penalizza proprio gli ospiti che, davanti ad una sola belva al sole, ne escono come agnellini sacrificati. Ma non solo però quantità, anche posizione: basta un fanalino mal posizionato per illuminare inavvertitamente ragnatele, lasciti di polvere e sbavature del format che prima, alle 11 di sera, non si vedevano.

Pubblico sì o pubblico no, Belve non sarà un fast-food

La metratura decisamente più generosa ha poi persino permesso di arredare lo studio con il pubblico, ma così silente e ingiustificato dà l’idea che sia del tutto inopportuno, e allora forse meglio una pianta, una parete muschiata. Tutto questo per non parlare della quota “tik toker”: fastidiosa e fintamente cool come quando per ordinare si usa il tablet, e poi il tablet non funziona, è scarico, è in aggiornamento, è error 404 ed era meglio carta e penna.

Anche il servizio, ora che siamo in una catena che guarda ai fast-food, risulta lento: i tempi delle interviste, gli stacchi, le inquadrature intimistiche cozzano con la vivacità e la frenesia del vita in centro, delle chiacchiere in prima serata. Insomma, ottimi i soliti ingredienti alla base (le interviste) e meravigliosa la voglia di rischiare, ora però bisogna lavorare dietro le quinte per evitare che Belve subisca l’effetto macchietta di se stesso. Tutto sta lì, dove la proprietaria deve decidere se correre per una stella Michelin o rischiare di finire a Cucine da Incubo.

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