Cinema e Teatro
Godard, Questa è la mia vita: quando il cinema diventa arte
Un film che ha visto la consacrazione del duo Godard-Karina
Jean-Luc Godard, un grande amore: il cinema
Jean-Luc Godard, scomparso ieri, è stato uno dei registi più significativi della seconda metà del ‘900. Non solo, anche uno dei maggiori rappresentanti della corrente della Nouvelle Vague. Nato a Parigi, in molti dei suoi film Godard ha deciso di ritrarre l’ambientazione parigina o più in generale francese: famose sono, ad esempio, pellicole come Il bandito delle 11 (1965), Fino all’ultimo respiro (1960), ed ancora Questa è la mia vita (1962). Proprio su quest’ultimo film, il cui titolo originale è Vivre sa vie, è estremamente interessante soffermarsi per mostrare – con un esempio pratico – in che modo Godard è riuscito a rendere arte il suo grande amore per il cinema.
Questa è la mia vita: esplode il duo Godard-Karina
Questa è la mia vita è un film che si potrebbe definire usando 3 aggettivi: rivelatorio, potente e vero. Su qualunque momento della pellicola ci si voglia soffermare, per tentare di farne un’analisi, questi tre aggettivi risulterebbero non sono coerenti ma perfettamente uniti tra di loro. Al tempo, e siamo cioè nell’anno 1962, Godard era sposato da solo un anno con Anna Karina, nonché attrice protagonista (nel ruolo della prostituta Nana) in Questa è la mia vita. Karina, attrice danese scomparsa nel 2019, non è solo un’attrice, ma è la musa di Godard.
Godard e Karina come Fellini e Mastroianni
Godard e Karina in Francia come Fellini e Mastroianni in Italia: un duo che si compensa artisticamente e la cui collaborazione dà vita ad esiti di valore artistico magistrale. Al tempo di Questa è la mia vita, il matrimonio tra Godard e Karina è ancora agli inizi, eppure già emerge pienamente il carattere turbolento dell’attrice. Anna Karina, quando cominciano le riprese, non si trova in uno stato d’animo ottimale. L’attrice accusa il marito, dopo la fase di montaggio della pellicola, di averla imbruttita. É furiosa: durante le riprese tenta addirittura il suicidio. Godard sceglie infine di cambiare il finale, rispetto quella che era l’idea iniziale decidendo di far morire la moglie invece che renderla ricca e felice accanto ad un giovane amante. Se queste sono state le premesse – alquanto disastrose ed inquietanti – i risultati del film sarebbero stati invece estremamente felici.
Questa è la mia vita: rivelatorio, potente e vero
Questa è la mia vita è un film apparentemente freddo ma di una sincerità totale e perciò disarmante di fondo, che si palesa di fronte alla condizione esistenziale dei personaggi. Il film viene costruito come un mosaico, composto da 12 quadri (“tableaux“), come tappe di un’esistenza in perenne divenire che narrano la vita di Nana, prostituta francese di 22 anni.
Nana non è una sola prostituta, non vive la sua vita in maniera casuale divenendo un personaggio alla continua ricerca del più profondo senso della vita stessa. Sceglie per sé stessa, ritagliandosi un ruolo nella società come commessa e anche quando si immerge nel mondo della prostituzione non subisce il suo essere. Mai ai margini della società, Nana è un personaggio pienamente consapevole del suo ruolo, nell’hic et nunc, del tutto cosciente della sua singolare personalità. Su tutto rimane impressa di Nana la volontà di non negarsi mai alla realtà fattuale: per niente bugiarda, la prima persona a cui non ha intenzione di mentire è la sua più intima sé.
Nel film sono moltissimi i primi piani che si concentrano esclusivamente sul volto di Nana, come a voler indagare e poi restituire al pubblico non solo la semplicità di una ragazza di poco più di 20 anni, ma tutte le sue intense emozioni, ogni suo più sfaccettato e complesso stato d’animo. Spesso le altre persone, quelle che ruotano intorno alla vita della giovane prostituta, sono riprese di spalle. Una volontà precisa da parte di Godard quasi a voler suggerire in quali panni calarsi, in ogni inquadratura.
Un’operazione di meta-cinema: Nana si commuove guardando La passione di Giovanna d’Arco
Nana nutre un grande amore per il cinema, quasi una venerazione. Di una delle scene più intense di Questa è la mia vita, ricordiamo un semplice gesto: entrare, per caso, in un cinema. Il film che trasmettono in quel momento è La Passione di Giovanna d’Arco del regista Dreyer, datato 1928. Un ennesimo primo piano: una lacrima le riga il volto. Nana è commossa di fronte alla sofferenza di un’altra giovane, sullo schermo, che ha dato la sua vita per la patria, e che sta per essere uccisa. In questa meravigliosa quanto potente inquadratura, è ancora – e lo sarà fino alla fine del film – una prostituta sì ma prima di tutto un essere umano.
Godard avvicina sino a farli stridere due mondi per luoghi comuni inconciliabili: la professionale apatia di una prostituta alla più intensa emozione. È l’esaltazione dell’umanità di Nana, dietro la facile facciata del pregiudizio.
“Nana fa della filosofia senza saperlo”
Nana gira per le strade in cerca di uomini da abbordare, in un quadro denominato realisticamente Marciapiede. Si ferma in un bar dove per caso incontra una vecchia amica, Yvette. Qua il quadro riporta espressamente: Nana fa della filosofia senza saperlo.
“Credo che siamo responsabili di ciò che facciamo. E liberi. Sono infelice e sono responsabile. Fumo una sigaretta e sono responsabile. Voler evadere sono storie. In fondo tutto è bello. Basta interessarsi alle cose e trovarle belle: in fondo le cose sono come sono e niente altro. La vita è la vita“. Nana, una prostituta di soli 22 anni, fa della filosofia. Dice cose ovvie, forse, ma le dice ad alta voce e con convinzione.
La morte di Nana: le luci si spengono, addio alle illusioni
“Ma perché bisogna sempre parlare? Più si parla e più le parole non vogliono dire niente [..] Le parole dovrebbero esprimere esattamente cosa vogliono dire, invece ci tradiscono“. Adesso Nana guarda dritto in camera, il suo volto non è cambiato, le sue espressioni sono serene anche se non è libera: viene uccisa sulla strada dal suo protettore, Raoul, che poco prima si era impegnato a proteggerla. Nana muore per 100 franchi, in un meschino scambio tra uomini.
Rivelatorio, potente e vero. Si possono dunque comprendere ora questi tre aggettivi attribuiti in partenza al film. Rimane un ultimo grande protagonista non citato: il potere della parola e di ciò che con essa si forma, il pensiero. La parola e più nello specifico la curiosità, la capacità di porsi sempre domande. Tale sfrenata curiosità di sé e degli altri, visibile in Nana, stride in un mondo – come quello della prostituzione – fatto di soldi, di realtà crude, nude. Eppure la parola scava nel torbido, indagando l’animo e facendo affiorare ciò che di più vitale contiene: conoscere gli altri per conoscere sé stessi.