Attualità
Referendum: l’emblematica pop-art legislativa italiana
Un legislatore imprevedibile, e quindi incompreso subito dai cittadini, non è un buon legislatore
In grammatica latina, il gerundivo è un aggettivo verbale, che esprime un dovere o una necessità di qualcosa, quindi una cosa non di poco conto. Referendum è proprio un gerundivo neutro sostantivato del verbo referre (riferire), dalla locuzione ad referendum (convocazione per riferire).
Il referendum del 12 giugno 2022
Per domenica 12 giugno, ai sensi dell’articolo 75 della Costituzione, è stato indetto un referendum popolare per deliberare l’abrogazione di alcune leggi o di atti aventi tale valore. Gli italiani si appresteranno dunque a votare per il “referendum giustizia“, su cinque argomenti molto seri. Il cittadino a quei 5 colori delle schede saprà dare un valore giuridico. Basteranno in televisione gli spot giuridici tra una pubblicità di una merendina al cioccolato per acculturare l’elettore su cosa abrogare o lasciare ancora sui tavoli della legge?
La mia risposta è negativa, ma vale ben poco. Si voterà naturalmente, si faranno altre leggi, se ne abrogheranno tante altre, e probabilmente quello che ci andrà di mezzo sempre sarà il cittadino ingenuo e di cultura non elevata. Il miglior modo per far abrogare una pessima legge consiste nel farla applicare rigorosamente, diceva Abraham Lincoln. E se quella pessima legge ha leso non solo le tasche, ma anche l’anima delle persone sarà sufficiente abrogarla per curare i torti subiti?
Leggi, come funghi
Quante, troppe leggi in Italia spuntano come funghi, redatte alla men peggio in situazioni particolari, soltanto per tappare buchi e falle del momento, pur sapendo che le crepe non si sarebbero affatto arrestate. Poveri coloro che soccombono, anche per la famigerata non scusabile ignoranza, ad alcune leggi velenose sin dalla nascita. Allo stesso modo di quelli che vanno per boschi a raccogliere funghi, non essendo esperti micologi, fanno una brutta fine.
Ignorantia iuris non excusat
Fondamentale del nostro ordinamento giuridico è notoriamente il principio ignorantia iuris non excusat. La nota formula espone l’assioma secondo cui non è consentito sottrarsi al rispetto della legge adducendo la mancata conoscenza della stessa. La storica sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale ha ritenuto scusabile la non conoscenza della legge penale, qualora essa sia incolpevole e inevitabile. Per esempio: quando dipenda da disinformazione collettiva, o da oscurità e contraddittorietà insite nella norma di legge, o da interpretazioni contrastanti e fuorvianti di detta norma. Anche la giurisprudenza romana applicava in principio in esame. Tuttavia, nella pratica, era ritenuto scusabile l’errore commesso da soggetti privi di un’adeguata conoscenza del diritto, in quanto immaturi o incolti.
Il dovere del cittadino, il dovere del legislatore
Nella realtà quotidiana il cittadino, o più in generale il soggetto giuridico, non può addurre a sua scusa l’ignoranza di una norma del diritto. Regola severa, anzi spietata, ma necessaria. L’ordine sociale non sarebbe realizzabile se si fosse ammessi, di volta in volta che si viola una norma giuridica, ad essere scusati per non averla conosciuta. Non vi è forse nessuno, avvocati e magistrati compresi, che davvero abbia a mente in tutte le sue fibre normative l’ordinamento vigente. Pertanto, il rischio di incappare nella violazione di una legge sconosciuta è il prezzo che si paga per il vantaggio di vivere in una società civile e ben disciplinata.
Tuttavia, se il cittadino deve sforzarsi al massimo di avvicinarsi alla conoscenza approssimativamente completa delle norme giuridiche vigenti, è evidente che il legislatore, cioè il complesso degli organi statali che producono norme giuridiche, ha a sua volta il sacrosanto dovere di adoperarsi quanto più gli sia possibile per emanare leggi, non dico gradite ai cittadini, ma almeno da questi prevedibili, almeno tali da essere considerate da costoro come medicine amare, ma indispensabili alla buona salute della compagine statale.
Ora, ecco il punto scottante di tutta la questione. Il legislatore moderno, e particolarmente quello italiano, cura assai poco l’adempimento di questo suo dovere morale di emanare norme giuridiche giustificate agli occhi dei cittadini da ragioni plausibili ed evidenti. Non solo. Egli cura ancor meno di adottare, in questa sua attività normativa, un linguaggio chiaro, preciso ed univoco. La legislazione italiana vigente è molto simile ad una giungla. Una giungla tanto folta e che non solo vi si perdono i privati cittadini, ma spesso vi vagano incerti anche i così detti esperti di diritto (giuristi, magistrati, avvocati) e addirittura vi si intrappola, talvolta, il legislatore stesso.
La giungla legislativa puramente in stile made in Italy
Anche il legislatore: il quale dà in qualche caso il sorprendente spettacolo di entrare in contraddizione palese con altre leggi precedenti, di illudersi di abrogare o modificare norme giuridiche che esistono solo nella sua fantasia, di interpretare in modo sbagliato talune norme proprio da lui precedentemente formulate. Da che dipende tutto questo? Da leggerezza e da incuria degli uffici preposti alla formulazione dei disegni di legge e delle assemblee incaricate della loro discussione e votazione. Ma dipende soprattutto da ciò: che questo benedetto legislatore, disponendo di un potere di decisione superiore a ogni altro potere dello stato, lo adopera senza misura, e insomma ne abusa. La giungla legislativa rigoglia in primo luogo per il fatto che il legislatore italiano emana leggi a getto continuo. Talvolta il ritmo è addirittura febbrile, spesso non sussiste necessità alcuna di emanarle quelle leggi, tralasciando magari di pronunciarsi proprio sulle questioni più importanti e sentite.
Leggi spesso di comodo, confezionate a misura di ceti ristretti o di poche persone, che pongono eccezioni e controeccezioni, limitazioni, concessioni e via dicendo: le così dette leggine.
La pop-art legislativa: un flusso continuo di leggi, talvolta incomprensibili
Dare degli esempi sarebbe fin troppo facile: leggi seppur utili, spesso estremamente complesse, e in certi punti di formulazione addirittura incomprensibili, che hanno aumentato a dismisura il disorientamento dei cittadini e, per conseguenza, il lavoro dei nostri già oberatissimi giudici. Manifestazioni singolari di una nuova arte giuridica: la pop-art legislativa.
Gli errori da cui il legislatore italiano deve emendarsi sono dunque evidenti. In primo luogo, abbiamo ragione di pretendere da lui che il diritto lo mastichi a sufficienza. Se non come un esperto giurista, almeno come un buon laureato in giurisprudenza. In secondo luogo, dobbiamo attenderci dalla sua onestà che del potere di legiferare non abusi e quindi non produca leggine ogni momento, né pretenda di regolare con minuziose e deliranti ogni piega della vita sociale, dalla professione di odontotecnico alla lavorazione dei mosti di vino. In terzo luogo dobbiamo augurarci ch’egli si renda maggiormente conto della necessità di commisurare le sue leggi alle possibilità di comprensione e di obbedienza dei soggetti giuridici.
Il soggetto giuridico, una vittima non solo di se stesso
Posto che il cittadino non è, come abbiamo visto, nella effettiva condizione di conoscere, sia pure alla lontana, tutte le leggi che lo governano, è evidente il dovere del legislatore di non imporgli, con le sue leggi, di compiere dei passi che almeno per il momento siano psicologicamente troppo lunghi per la sua gamba.
Certe disposizioni di leggi sono, dal punto di vista psicologico, così esagerate o estrose, come potrebbe essere la pretesa di far fare ad un tizio un salto da un secondo piano o di esigere da un caio di divorare in una sola volta un bue. Al cittadino pare talmente incredibile che talune leggi possano esservi, che egli non si pone nemmeno il dubbio che esse esistano. Della loro insospettata esistenza si accorgerà purtroppo, ed a proprie amarissime spese, troppo tardi, e cioè quando sarà citato davanti a un giudice civile o penale, o quando, con stupore, avrà il diritto di farle abrogare. Uscire dai binari della ragionevole prevedibilità di una norma significa, in tutte lettere, che il legislatore tradisce la sua funzione.
Un legislatore incompreso non è un buon legislatore
Un legislatore imprevedibile, e quindi incompreso, subito dai cittadini, non è un buon legislatore. Né si illuda il legislatore di poter troppo giocare sulla forza correttiva delle sanzioni, penali o non penali che siano. Le sanzioni, come la storia largamente dimostra, assicurano sì l’osservanza immediata di una legge, ma contribuiscono pericolosamente, quando il cittadino le ritenga ingiuste, a creare una frattura incolmabile tra il cittadino stesso ed il legislatore. Le rivoluzioni, se ben si riflette, sorgono sempre dalla esasperazione dell’ignorantia iuris. Il cittadino è talmente ignaro e poco convinto delle ragioni per cui certe norme gli vengono imposte, che va a finire che le condanna come ingiuste, e condannandole vi si ribella.
Che il legislatore, al quale diamo la stima e la fiducia che merita, faccia in modo che vi siano allora sempre meno “ribellioni”, e che ci si possa mettere tutti a tavola, tranquilli senza timore d’avvelenamento, dinanzi ad un piatto di pappardelle ai funghi porcini!