Attualità
Russia/Ucraina: qualcosa di terribile sul fronte orientale, la storia che si ripete
Le tensioni tra Ucraina e Russia impongono una riflessione sulla guerra, da Euripide a Russell
La guerra torna a far parlare di sé, come un mantra che si riverbera nei secoli, al pari di un fantasma mai esorcizzato a dovere. Lo storico olandese Johan Huizinga, in un suo mirabile saggio, nel 1935 condannava il successo dei totalitarismi e l’entusiasmo per le dittature: “Viviamo in un mondo ossessionato. E ne siamo coscienti. Nessuno proverebbe stupore se un bel giorno questa nostra insania desse luogo a una crisi di virulenta follia che, una volta estinta, lascerebbe l’Europa nel torpore e nello smarrimento; i motori continuerebbero a girare e le bandiere a sventolare, ma lo spirito sarebbe soffocato“. Sono trascorsi quasi novant’anni, e quelle parole sono risuonano in questi giorni come terribilmente attuali. L’Europa, già devastata dall’epidemia, è ad un passo da una tragedia forse ancor più grande. La Russia se non fa un passo indietro, potrebbe scatenare infatti la Terza Guerra Mondiale. Ma come è possibile che la guerra e la morte degli uomini voluta da altri suoi simili, dopo migliaia di anni di civiltà, sia ancora presente, nonostante sia stato fatto il possibile, ma forse non l’impossibile, per cancellarla dal pianeta?
La guerra nel pensiero di Euripide
Già nell’antichità, la guerra e ciò che da essa scaturiva ha prodotto analisi, pensieri e ragionamenti a riguardo, come nel caso delle Troiane di Euripide, tragedia scritta intorno al 415 a.C. con focus legato all’esecrazione della guerra. Un pensiero, altrettanto valido quanto il precedente citato, incentrato sull’effimerità della vita umana, oltre che sulla sventura che costantemente insidia o annulla la felicità, e che emerge particolarmente in due punti:
La voce di Posidone (vv. 95-97):
È stolto fra i mortali colui che distrugge città e templi e tombe, sacrari dei morti: devastando, egli stesso perisce più tardi.
La voce di Cassandra (v. 400):
Bisogna evitare la guerra, almeno chiunque abbia senno.
Sullo sfondo generale di ripugnanza della guerra, fonte di ogni crudeltà, la poesia di Euripide crea un segno, quasi un emblema di una nuova tragicità: l’atroce, efferato assassinio di un innocente. Stiamo parlando del destino del piccolo Astianatte, colpevole di essere figlio di Ettore, e condannato pertanto a una morte orrenda, diretta conseguenza della guerra di Troia. Il bambino, infatti, viene scaraventato dalle torri di Ilio. Da qua sgorga il ragionamento legato alle profonde e disumane conseguenze dei conflitti armati: tutti gli uomini che subiscono guerre sono innocenti, perché colpevoli del delitto più orribile, quello contro la vita.
La pace è, e resta, un sogno che può diventare realtà, ma per costruirla occorre essere capaci di sognare e guardare le nazioni non dalle cartine geografiche, ma dalle nuvole, da cui non si riconoscono i confini.
Bertrand Russell: l’opera di Euripide e la sua, purtroppo, costante attualità nella storia
Pregando che la pace possa vincere sempre e riflettendo su quanto la cultura possa aiutare a sconfiggere i mali dell’umanità, desidero qui ricordare l’esperienza di un eccezionale spettatore delle Troiane, Bertrand Russell, nell’immediato dopoguerra del primo conflitto mondiale, raccontata dieci anni dopo la fine del secondo.
“Shakespeare mette insieme ‘il folle, l’amante e il poeta’, come esseri ‘dall’immaginazione tutta compatta’ – racconta il filosofo britannico – Il problema è di conservare l’amante e il poeta, facendo a meno del folle. Voglio portare un esempio. Nel 1919 assistetti a una rappresentazione delle Troiane all’Old Vic (n.d.a. teatro londinese). Arrivati all’irresistibile scena patetica in cui Astianatte è condannato a morte dai greci per timore che diventi un secondo Ettore, in tutto il teatro non c’era un solo ciglio asciutto, e il pubblico trovava quasi incredibile la crudeltà mostrata dai greci nel dramma. Eppure quelle stesse persone che lì piangevano, in quello stesso momento stavano praticando quella stessa crudeltà in una proporzione che l’immaginazione di Euripide non avrebbe mai saputo concepire. Essi (o almeno la maggior parte di essi) avevano appena finito di votare per un governo che continuava il blocco della Germania anche dopo l’armistizio, e imponeva il blocco alla Russia. Si sapeva che questi blocchi causavano la morte d’un immenso numero di fanciulli, ma si riteneva opportuno far diminuire la popolazione dei paesi nemici: i fanciulli, come Astianatte, crescendo potevano emulare i loro padri. Il poeta Euripide ridestò l’amante nell’immaginazione del pubblico; ma amante e poeta furono dimenticati sulla soglia del teatro, e il folle (sotto la forma del maniaco omicida) tornò a controllare gli atti politici di quegli uomini e di quelle donne che si ritenevano teneri e virtuosi“.
La pagina di Russell presenta un Euripide sia poeta che educatore, e per educare, inventò il patetico: non quindi attraverso il phobos (la paura), ma attraverso il pathos che svaria e moltiplica l’eleos , cioè la misericordia, la compassione o la pietà, in modo da far comprendere quanto male provoca all’uomo la guerra.
La guerra e la doverosa riflessione sugli innocenti presenti in ogni conflitto
Non voglio tuttavia terminare con la pagina pur straordinaria di Bertrand Russell, ma con un mio ricordo personale. Sfogliando una guida di Berlino, ho avuto modo di soffermarmi su una fotografia che ritraeva un gruppo statuario. Alla fine dell’Unter den Linden, il viale degli alberi di tiglio poco dopo la piazza della Staatsopera dove il 10 maggio 1933 studenti nazisti incendiarono libri, illudendosi di distruggere il pensiero e la vita degli uomini liberi, c’è un piccolo ambiente neoclassico, una sorta di cappella votiva, costruita nel secondo decennio dell’Ottocento. L’interno di questo luogo, chiamato la Neue Wache (la Nuova Guardia), durante la dittatura comunista ospitava la Fiamma Perenne, die Ewige Flamme, a ricordo delle vittime dell’Hitlerfaschismus. Con la caduta del Muro si spegneva anche la Fiamma. Al suo posto, oggi, vi è un gruppo statuario scolpito dallo scultore Harald Haacke, il quale nel 1993 realizzò una versione notevolmente ingrandita della piccola scultura Pietà di Käthe Kollwitz del 1938.
Il lugubre e lucido marmo cristallizza una scena raccapricciante: una madre che avvolge tra le braccio un figlio morto, non importa di chi. Ufficialmente è il monumento che la Nuova Repubblica Federale Tedesca ha innalzato alle vittime della guerra e della dittatura: simbolo della violenza non un è guerriero, ma la madre di un guerriero. La donna, che piange un figlio perduto in guerra in una posa di struggente immobilità, esprime il dolore universale delle madri di ogni tempo. Contemplando l’immagine, ho ripensato a Ecuba che stringe il corpicino inerte e massacrato del figlio di Andromaca, Astianatte. Pensavo al nostro poeta, che cantò per gli uomini di tutte le epoche lo strazio di chi si trova a seppellire una propria creatura stroncata da una guerra. Rimuginavo i suoi versi sull’ingiustizia delle guerre senza rinunziare però alla speranza. Perché privarsi di sperare sarebbe la ripulsa della poesia e della sua potenza universale. Gli imperi tramontano, ma la poesia tragica, eternatrice della sofferenza e del dolore, rimane ad ammonire, a consolare, a vincere le insidie della morte.
Il messaggio di Euripide si ripresenta, quindi, anche oggi: solidarietà per i vinti ma ferma condanna della strage degli innocenti che accompagna ogni guerra. Anche oggi.