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Il “giorno dopo la fine del Festival di Sanremo” è uno stato d’animo

Come sopravvivere alla tristezza del “giorno dopo il Festival di Sanremo”

Avatar di Chiara Surano

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Amadeus al Festival di Sanremo

Perché “il giorno dopo la fine del Festival di Sanremo” è uno stato d’animo

Da giornalista, da appassionata di Festival di Sanremo e da persona che ha avuto la fortuna (sottovalutata ai tempi, ma come giusto che fosse) di vivere e crescere a pochi km dall’Ariston, ancora non sono riuscita a trovare una parola – ed è grave visti gli studi, la laurea e i km di parole scritte per lavoro – che mi soddisfi a sufficienza per esaurire con immediatezza e senza metafore il senso di vuoto e di profonda nostalgia che attanaglia lo stomaco nel “giorno dopo la fine del Festival di Sanremo.

Come riconoscere i sintomi della saudade

Credevo si avvicinasse molto il termine saudade, precisamente l’immagine del “morso della saudade”: quel sentimento profondo, doloroso come un morso, che infonde nello spirito un senso di malinconia che a tratti è nostalgia, ma anche qualcosa di più. Un senso di tristezza provocato dal vuoto e capace di convivere al tempo stesso con il desiderio, la brama di rivivere un’emozione e di poterla a tratti quasi possedere, eternare, chiudere in una boccetta da aprire e respirare nei momenti di sconforto. Quando si ha la possibilità di vivere il Festival di Sanremo oltre le transenne e i tornelli, si ha la sensazione di avanzare con passo felpato all’interno di una bolla con termine di scadenza sebbene, una volta dentro, la si viva con la lentissima convinzione che come qualcuno ha già detto ancor meglio di me, un sogno così possa durare per sempre. E ci si sente pieni e vuoti, ci si sente stanchi e al tempo stesso eccitati, arrivati ad un dunque atteso da mesi, ma cupi perché non c’è mai fretta di arrivarci.

Tutti, una volta all’anno, abbiamo bisogno di Sanremo

Quando si ha poi la possibilità di vivere un bel Festival come quello appena concluso, la saudade del giorno dopo è destabilizzante e ci si sente mentalmente provati, accusando con lo spirito gli stessi sintomi di una sbronza. Ma per quanto sia difficile da spiegare, senza potersi servire di una parola che indichi la predisposizione d’animo del “giorno dopo la fine del Festival di Sanremo“, è un sollievo toccare con mano che si tratta di un sentimento collettivo al di là di come l’evento sia stato vissuto, dentro o fuori dalla bolla. Ci si sente improvvisamente tutti un po’ meno esagerati forse, e un po’ più autorizzati anche, a vivere male “il giorno dopo la fine del Festival Sanremo“. E fa quasi arrabbiare, da un lato, che nessuno né prima né dopo abbia quasi mai il coraggio di ammettere a gran voce che il Festival di Sanremo è qualcosa di cui, puntualmente, abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di un evento da attendere, abbiamo bisogno di iniziare a fantasticarci sopra dall’estate, abbiamo bisogno di scriverci pagine e pagine di virtuale inchiostro azzardando ipotesi su ospiti e duetti; abbiamo tutti, una volta all’anno, bisogno di sognare nel blu, dipinto di blu.

Manuale di sopravvivenza a “il giorno dopo la fine del Festival di Sanremo”

Drusilla Gianluca Gori

Anche chi detesta Sanremo, chi non aspetta altro che un passo falso per parlarne male e ricamarci sopra la disfatta della Tv di Stato o della società, anche loro in fondo non aspettano altro che il Festival abbia inizio (e nessuno prende impegni durante le serate del Festival, e quando li prende, il Festival in sottofondo c’è comunque, anche solo in quel voler non fare troppo tardi “così almeno gli ultimi 10 minuti di quella robaccia non vanno perduti”). Se così non fosse come spiegare allora oggi le decine di migliaia di commenti sui social che vertono tutti sullo stesso punto: Come si vive d’ora in poi?”; “Come si torna alla vita prima di Sanremo?”; “E ora che si fa?”; “Mi sento vuota. Il merito va sicuramente ad Amadeus se dietro a questi commenti non ci sono le solite “adulte generazioni” che si crede siano gli unici ad essere sentimentalmente legati al Festival d’altri tempi. A scrivere i commenti, a chiedere più Sanremo, a chiedere più Festival, sono i ragazzi, la nuova generazione che non si perde in sterili polemiche sull’etica o sul fine ultimo che il Festival dovrebbe, per qualcuno, puntualmente avere. Generazioni smart, spesso sazie di tutto sin dalla nascita, difficili da tenere concentrate, difficili da ammansire ai tempi del gobbo.

Manuale di sopravvivenza: -364 giorni al Festival

E mentre negli alti uffici dei palazzoni ci si perde negli accademici bicchieri d’acqua sul come e sul dove intervenire per avvicinare le nuove generazioni ad una televisione che 360 giorni l’anno non riesce ad offrire niente di meglio che un eterno copia e incolla di format sempre uguali a sé stessi, Amadeus non si fa troppe domande su cosa significhi “papalina” o su cosa sia più o meno opportuno che Blanco faccia o non faccia sul palco dell’Ariston. Lascia liberi, spalanca le porte al presente e al futuro. Così Blanco non ha alcun “ruolo” sul palco se non essere semplicemente e totalmente Blanco, al pari di Iva Zanicchi, al pari di Gianni Morandi. E qui, di nuovo, quella sensazione in sottofondo, l’essere tutti uguali, ieri e oggi, dentro e fuori. Tutti bersagli di critiche e complimenti, tutti in corsa per il Festival, tutti in corsa per il FantaSanremo, a qualsiasi età, con la gonna o senza, Drusilla o Gianluca. E lascia un profondossimo vuoto questo Festival di Sanremo che si è confermato essere della gioia e della rinascita, come ci si auspicava, lontano dalla tradizione e tradizione per eccellenza. C’è qualcosa in questo modo di costruirlo e pensarlo, c’è qualcosa in questo modo di Amadeus di metterlo in piedi proteggendolo e difendendolo a spada tratta che non solo lascia il vuoto al calar del sole ma fa sì che, a consolare, sia l’idea che nel giorno dopo il Festival di Sanremo si possa iniziare a contare un giorno in meno dall’edizione che verrà e ripartire da -364 giorni al prossimo Festival.

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