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MUSICA

Venerdì sera all’UFO Club di Londra: così incominciò la storia dei Pink Floyd

L’UFO Club, il venerdì sera, il 23 dicembre 1966: lì dove nacque la storia, lì dove nacquero i Pink Floyd

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Roger Waters dei Pink Floyd

L’UFO Club di Londra: l’appuntamento del venerdì sera lì, dove nacque il mito dei Pink Floyd

C’era una volta...”, ma quella che vi stiamo per raccontare è una favola vera che ci riporta indietro di ben 55 anni, cioè al tempo in cui il fenomeno musicale e di costume del beat, giunto all’apice della fama planetaria, stava cambiando rotta con la scoperta di un fenomeno detto “psichedelia”, dalle radici facilmente rintracciabili nell’uso e nel consumo degli allucinogeni come l’LSD. A Londra, nel quartiere di Tottenham Court Road, poco prima del Natale del 1966 venne inaugurato un locale detto UFO Club. Già la ragione sociale, che richiamava alla mente gli “oggetti volanti non identificati”, bastava per dare un senso alle caratteristiche di questo posto davvero particolare: ogni venerdì sera ci sarebbe stato un evento musicale, ma non solo. Si sarebbero esibiti gruppi debuttanti oppure emergenti, comunque impegnati in un genere particolare (“alternativo”, come allora soleva dirsi), e le loro esecuzioni sarebbero state commentate da inserti tratti da celebri film oppure da azioni coreografiche anch’esse all’avanguardia per suggestione, originalità e anche un pizzico di trasgressione dovuta all’effetto delle droghe allucinogene, se assunte.

I primi successi dei Pink Floyd all’UFO Club: il 23 dicembre 1966

Quando, il fatidico venerdì 23 dicembre 1966, l’UFO Club aprì i battenti nei sotterranei di un cinematografo, furono due i complessi che vennero ad esibirsi, due formazioni destinate di lì a poco al successo mondiale, ma che allora erano ancora al debutto o quasi. Ciononostante, si trattava di due gruppi con le idee molto chiare sullo stile da proporre ai giovani ascoltatori: i Soft Machine e soprattutto i Pink Floyd. Anzi, furono proprio Roger Waters, Nick Mason, Richard Wright e l’estroso Syd Barrett (ancora non c’era David Gilmour) a suscitare maggior impressione tra il pubblico. Giovani sui 22, 23 anni, ma musicalmente preparatissimi, i 4 londinesi puntarono molto su uno stile che poi sarebbe diventato il loro marchio di fabbrica durante gli anni d’oro: brani lunghissimi, quasi simili ad una suite sinfonica, ma con arrangiamenti assolutamente pop-rock e soprattutto continue e spettacolari improvvisazioni. Applausi scroscianti salutarono le loro esaltanti interpretazioni ed esecuzioni, tanto che, a volte in pianta stabile, a volte saltuariamente, i Pink Floyd furono protagonisti di moltissime altre serate ospitate dall’UFO Club e destinate ad andare avanti solo fino al tardo ottobre del 1967, causa la chiusura per fallimento del locale. In pratica venne costruita proprio in quella saletta, sempre stipata di venerdì in venerdì, la base del successo di quello che sarebbe diventato tra i complessi più amati e analizzati da pubblico e critica del mondo intero.

Pink Floyd… e nasceva un fenomeno

pink floyd ufo club londra 1

L’eco del successo dell’estroso quartetto londinese si era fatta sentire un po’ ovunque, non solo per i trionfi all’UFO Club, ma pure grazie alle prime incisioni discografiche per la EMI. Tra i primi a parlarne e soprattutto a scriverne qui in Italia fu Renzo Arbore, il quale teneva settimanalmente sul Radiocorriere TV una rubrica dal titolo Bandiera gialla, proprio come l’amatissima trasmissione radiofonica del sabato pomeriggio, da lui curata e con la presentazione di uno scatenatissimo toscano di nome Gianni Boncompagni. Ecco brevemente come si espresse Arbore su Syd Barrett e soci nel settembre del 1967:

“I Pink Floyd, quattro londinesi che non solo non si fanno vedere mai in giro in condizioni ‘normali’, ma che non permettono nemmeno che venga scattata una loro fotografia in maniera tradizionale. Le foto dei Pink Floyd sono tutte realizzate con sovrapposizioni e tecniche speciali, in modo che i quattro musicisti sembrano emergere da un’orgia di colori stranissimi. Sulla scena, naturalmente, anche con i Pink Floyd può accadere di tutto”.

In quel periodo ci fu pure il debutto discografico del complesso con l’album The piper at the Gates of Down, contenente pezzi del calibro di Matilda mother e Lucifer Sam . Fu un 33 giri che permise agli ascoltatori (non solo britannici) di fare una conoscenza più approfondita e arricchita di questi Pink Floyd, pur se si dovette attendere la fine del 1970, con l’uscita di Atom Heart Mother e la proverbiale mucca in copertina, per poter parlare finalmente di grande successo per un gruppo inglese destinato da lì in avanti a dettare leggi e regole di originalità stilistica in un contesto così ricco come quello del “rock progressivo”.

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