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Tutti lupi di mare finché c’è rete: navighiamo benissimo, ma non camminiamo più
Nella metropoli chi si ferma è perduto, dove perduto è da intendersi come dimenticato, superato
Quotidianamente usiamo l’espressione “navigare in rete” che non è niente altro che la traduzione di “surf the internet“, titolo di un articolo della bibliotecaria Jean Armor Polly pubblicato nel 1992 nel Bollettino della Biblioteca Wilson dell’Università del Minnesota. Una metafora che a ben riflettere esprime sì il divertimento, l’abilità e la resistenza di uno skipper, ma al contempo evoca anche un senso di fatalità, di caos e persino di pericolo. L’immagine della rete dà la sensazione di rimanere impigliati, intrappolati in alto mare, con la probabile conseguenza di un naufragio.
Pesca a strascico per non trascinare i piedi
Negli ultimi trent’anni siamo diventati ottimi mozzi, marinai ben addestrati, ma abbiamo dimenticato l’importanza della fanteria, ovvero camminare per strada, passeggiare, verbo dolcissimo e romantico che evoca l’andare a passo lento per diporto, accompagnato da numerose movimentate piacevoli soste. Vedere il mondo dal vivo, osservare le tracce della vita, incontrare persone in carne ed ossa. Le camminate, anche solitarie, sono ispiratrici di momenti di autocoscienza e di riflessione interiore, condite dal continuo stupore per la varietà e la bellezza di quello che realmente ci viene incontro; conducono l’uomo indietro nel tempo, perché non può non subire l’attrazione di negozi, edifici, abitanti legati alla storia dei luoghi battuti.
Chi cammina a lungo, anche senza meta, viene colto da un’ebbrezza. Quasi fosse un’esperienza allucinatoria, vagare in un passato e ritornare subito al presente.
È vero che oggi quella tastiera, con la quale sto scrivendo, si trasforma freneticamente in sconfinate praterie, aridi infiniti deserti e città mai viste prime, monologando con il signor Google. È vero che in un batter di tasto ci troviamo a meravigliarci delle acque di color rosa intenso del lago Hillier al largo delle coste occidentali dell’Australia, e un attimo dopo, con un colpetto dell’indice destro, ad ammirare estasiati il Tondo Doni di Michelangelo alla Galleria degli Uffizi. Tutto vero, oserei dire straordinario, ma l’aria che respiriamo, navigando dall’Oceania al Corridoio Vasariano è sempre quella del nostro “punto di battitura”: siamo in una movimentata perpetua sosta, distaccatamente collegati con fili invisibili e macchine del futuro (ormai del presente!) ad una rete nella quale, direbbe il Poeta, il naufragar m’è dolce in questo mare.
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Il fante-viandante, a differenza del mozzo-reticolato, diventa una sorta di strumento di osservazione e interpretazione del mondo reale. Il passeggiatore, attento e indagatore, ha il tempo di riflettere, senza la paura di affrontare l’ansia del puntatore del mouse. Legge sui volti delle persone il loro mestiere, lo stato d’animo, il carattere. Si accorge di cose alle quali non siamo più abituati, i piccoli incidenti del camminare cittadino, lo sfiorare gli altri pedoni, gli sguardi che si intrecciano e che non vengono dimenticati. Nonostante siano immagini di attimi, sostando sulle corde della nostra sensibilità, cominceranno a far parte di noi. Chi cammina, ed è Flaubert che ce lo scrive, si immedesima con l’ambiente della sua passeggiata, e si sente parte di quello che lo circonda: vede cavalli, foglie, vento, parole perdute, sole al tramonto, occhi innamorati e lui, lui, è cavallo, foglia, tramonto, occhio innamorato. Oggi invece siamo inghiottiti dalla rapidità: i futuristi marinettiani del primo Novecento sarebbero diventati i padroni del mondo.
Emozioni obsolescenti per futuristici crepuscoli
La velocità della vita moderna non consente soste di alcun tipo: si potrebbe affermare che nella metropoli chi si ferma è perduto, dove perduto è da intendersi come dimenticato, superato. E ciò che è superato, in una siffatta società dell’apparenza e della moda, semplicemente non esiste. Allora, per vivere la vita vera, ricordiamoci di essere e non di esistere semplicemente, sforziamoci di incantarci respirando l’aria di una passeggiata e rallentare: nel 1839 era elegante portare con sé una tartaruga andando a passeggio, si legge nella Parigi, capitale del XIX secolo di Walter Benjamin. Lasciamoci alle spalle la goliardica esagerazione della tartaruga, ma riflettiamo. In rete, navigando, possiamo vedere tutti i boschi del mondo pieni di alberi illuminati da milioni di pixel, ma nessuno di questi verdi arbusti ci potrà donare quella sensazione ristoratrice di una fresca ombra, figlia della luce, quella naturale, dei raggi del sole, che incontreremo soltanto camminando.