Attualità
25 aprile, la festa della Liberazione: il giorno dell’insurrezione generale
25 aprile: perché è importante non dimenticarsi di festeggiare il concetto di libertà, ogni anno
“Dopo venti anni di regime e dopo cinque di guerra, – scriveva Norberto Bobbio – eravamo ridiventati uomini con un volto solo e un’anima sola. Eravamo di nuovo completamente noi stessi. Ci sentivamo di nuovo uomini civili. Da oppressi eravamo ridiventati uomini liberi. Quel giorno, o amici, abbiamo vissuto una tra le esperienze più belle che all’uomo sia dato di provare: il miracolo della libertà“.
Perché festeggiamo il 25 aprile?
La guerra in Italia finì in realtà il 29 aprile 1945, quando venne firmata la resa di Caserta, ovvero l’atto che attestò la fine della Campagna d’Italia dei tedeschi e la resa incondizionata dei soldati della Repubblica Sociale Italiana. Perché allora festeggiamo il 25 aprile? Cosa successe quel giorno del 1945? Il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) il 25 aprile 1945 proclamò l’insurrezione generale.
Gli ultimi giorni dell’aprile del 1945
I soldati tedeschi e i fascisti in quel giorno abbandonarono Torino e Milano. I partigiani occuparono le città lungo la Via Emilia cacciando gli ultimi invasori. La sera del 25 aprile Mussolini abbandonò Milano, travestito da soldato tedesco, ma fu catturato 2 giorni dopo a Dongo, sul lago di Como, dove fu fucilato il 28 aprile. L’anno seguente, il 22 aprile 1946, il governo italiano su proposta del Presidente del Consiglio democristiano Alcide De Gasperi preparò un decreto, controfirmato dal Ministro socialista del lavoro Gaetano Barbareschi e dal Guardasigilli comunista Palmiro Togliatti, in cui si proclamava festa nazionale il 25 aprile. Il decreto fu firmato dal re Umberto II, luogotenente del Regno d’Italia. Era stato il comunista Giorgio Amendola, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, sollecitato dall’ANPI, a proporre il 25 aprile come giornata dedicata “alla solenne commemorazione dei sacrifici e degli eroismi sostenuti dal popolo italiano durante la lotta contro il nazifascismo”.
Il decreto fu riproposto nel 1947 e nel 1948. Fu solo a seguito della legge n. 269 del maggio 1949, presentata da De Gasperi nel settembre 1948 e concernente le “Disposizioni in materia di ricorrenze festive”, che venne fissata la data del 25 aprile in modo definitivo collocandola tra le festività civili nazionali. Con obbligo (art. 4) da parte delle autorità competenti dell’imbandieramento degli edifici pubblici.
L’importanza, fondamentale, di festeggiare il concetto di libertà
Ed è giusto che questa data, negli anni, venga celebrata: per non dare mai per scontato il concetto di libertà, il quale deve essere tutelato dalle nuove generazioni, ricordando il fulgido esempio dei nostri nonni che hanno sacrificato la loro vita per rendere libero il nostro paese. In questo momento storico di pandemia e di guerra ancor di più dobbiamo ricordare questo enorme sacrificio, immortalato in una delle più struggenti poesie di Ungaretti, Per i morti della Resistenza:
La nascita dello Stato democratico
Situato a metà del Novecento, questa data ha segnato una svolta epocale nella storia italiana: la nascita dello stato democratico. Fu l’epilogo di una tragedia nazionale, che iniziò con la Grande Guerra, proseguì con la convulsione rivoluzionaria del biennio rosso, poi con la guerra civile del fascismo squadrista contro tutti i partiti avversari, soppressi per un ventennio dal regime totalitario, e infine esplose dopo l’8 settembre 1943, in una nuova e più spietata guerra civile fra fascisti e antifascisti, in un Paese devastato dai furiosi combattimenti fra eserciti stranieri.
Il 29 aprile del 1945 a piazzale Loreto a Milano, all’angolo con corso Buenos Aires, vennero esposti i cadaveri di Benito Mussolini, Claretta Petacci e altri esponenti della Repubblica Sociale Italiana. Con questo avvenimento si chiuse il ventennio fascista e la guerra in Italia. Intanto, nelle strade di Genova, Milano, Torino la folla accorreva, gridava, sventolava fazzoletti, piangeva, sorrideva. Questo sorriso, questo pianto di gioia, questo gridare ci accompagna ancor oggi: ci accompagnerà sempre come un incitamento, o un rimorso, come un sogno forse troppo bello per essere inserito e trasfuso nella prosaica realtà di tutti i giorni, ma che pure deve segretamente illuminare, in qualche modo, quel che di meglio è in ognuno di noi.
La guerra era finita, l’Italia liberata, con la speranza di risorgere libera.
Il sacrificio umano in nome della libertà
Nonostante le polemiche sollevate dalla festa della Liberazione sin dal 1948, si può attribuire al 25 aprile, come simbolo della nuova sovranità popolare, il giudizio espresso nel 1950 dallo storico Federico Chabod: “Quel che resta come patrimonio comune della Resistenza, è la lotta popolare per la libertà. È un fatto storico che resterà nella storia d’Italia“. Il popolo che lottò per la libertà era una minoranza di volontari, uomini e donne, civili e militari, vecchi e giovani, appartenenti a differenti ceti sociali, a partiti diversi o a nessun partito, disposti a sacrificare la vita per la libertà e la dignità dell’Italia. Questa minoranza diede a tutti gli italiani, anche ai propri nemici nella guerra civile, e alle donne che mai lo avevano avuto, il diritto di scegliere col metodo democratico i propri governanti. Il 2 giugno 1946 i partiti della Resistenza ebbero il consenso di oltre 17 milioni di elettori, e insieme elaborarono il testo della Costituzione della repubblica democratica, entrata in vigore il 1° gennaio 1948.
Il 25 aprile è da rinnovare ogni giorno, una data che è parte essenziale della nostra storia: è anche per questo che oggi possiamo sentirci liberi. Al suo interno, in quel 25 aprile, era intrinseca la parola libertà. Una parola incommensurabile come il cielo, irraggiungibile da mano umana come un astro. Eppure creata dalla brama degli uomini, che hanno sempre e sempre di nuovo cercato di afferrarla, intrisa del sangue vermiglio di milioni di morti, afferrandola con la speranza di non lasciarla più cadere nel baratro.
In questo giorno “italiano”, auguro al mondo intero e ai paesi in guerra ciò che Dino Buzzati cantò nella sua Aprile 1945:
“Era giunta l’ora di resistere; – parole del sommo giurista Piero Calamandrei – era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini per vivere da uomini“, oltre che liberati, l i b e r i, che è cosa ben diversa, aggiungo io umilmente, inchinandomi di fronte ai nomi dei caduti, tutti, per la Libertà e la Pace.